LA STIMA DELLA SAPIENZA

Banda ultralarga, la partita vale un punto di Pil e 172mila nuovi occupati

Uno studio dell’università Sapienza simula pro e contro dell’impatto delle nuove reti su Pil e lavoro di qui a 10 anni. Il “saldo” è positivo ma alcuni settori saranno paradossalmente penalizzati, a partire da quello dei computer e servizi correlati che subirà una forte riorganizzazione. Sanità e istruzione i comparti meno “favoriti” dall’avvento della fibra

Pubblicato il 27 Giu 2016

Mila Fiordalisi

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Stimare gli effetti sull’occupazione e sul prodotto interno lordo degli investimenti in infrastrutture di rete a banda ultra-larga nel medio-lungo periodo. Questo l’obiettivo dello studio “Assessing the sectoral effects of ICT investments: the case of broadband networks” realizzato da un gruppo di ricerca dell’Università Sapienza di Roma coordinato da Maurizio Franzini. Lo studio – che rappresenta l’ultimo tassello del progetto di ricerca Screen (Servizi e contenuti per le reti di nuova generazione) dell’Autorità per le garanzie delle comunicazioni – è stato realizzato su un modello di simulazione calibrato sulla base dei dati reali di produzione degli ultimi 20 anni e definito a livello di singolo settore produttivo, in grado di stimare l’effetto diretto ed indiretto di un investimento infrastrutturale del valore di dodici miliardi di euro “la dimensione ritenuta necessaria, nell’ambito della strategia italiana banda ultralarga, a dotare l’85% della popolazione italiana di una connessione a 100Mbit/s”, si legge nella sintesi del report. Tre gli scenari simulati – 5, 8 e 12 miliardi di euro –tenendo conto però che “per arrivare al massimo potenziale servono 6-7 anni, pari al time-to-build necessario e la generazione della domanda”, ha sottolineato Maurizio Franzini in occasione della presentazione dello studio in Agcom dove è stato presentato anche uno studio sull’unbundling.

Gli investimenti nelle reti ultrabroadband hanno impatto positivo su tutti i comparti di mercato – evidenziano gli analisti – ed i maggiori benefici sono stimati per il settore immobiliare, dell’intermediazione finanziaria, dei servizi alle imprese, dei trasporti e delle comunicazioni, “ossia dei settori che utilizzano i servizi Ict come input in maniera massiccia”. Istruzione e sanità, nonostante quanto comunemente si creda, sono invece i meno impattati dalla rivoluzione ultrabroadband, così come quello dei servizi sociali “perché sono settori ad alta intensità di lavoro e che quindi si avvantaggiano di meno dell’aumento di offerta di servizi banda ultra-larga e della conseguente riduzione dei prezzi di tali servizi”, puntualizzano gli analisti. Anche riguardo all’occupazione la medaglia è a doppia faccia: se è vero che l’effetto dell’investimento sull’occupazione è positivo, è anche vero che a differenza del valore aggiunto, varia fra i settori. In alcuni settori, infatti, l’investimento determina un aumento della produttività (e quindi dell’offerta) superiore all’aumento della domanda, dando luogo ad una riduzione dell’occupazione: è questo il caso dei settori che fanno largo uso di servizi Ict come input quali costruzioni, trasporti e servizi alle imprese. Se è vero che la variazione di valore aggiunto (ossia di Pil) è superiore a un punto percentuale e che gli effetti sono incrementali al crescere degli investimenti stessi, è anche vero che gli analisti evidenziano alcune situazioni di criticità sul fronte occupazionale. E paradossalmente a subire il maggior “danno” sarà il comparto a più elevata potenzialità di crescita in termini di business, quello che viene indentificato come “dei computer e servizi relativi”. Se l’aumento in termini di valore aggiunto è stimato al 18% in 10 anni l’occupazione perderà sei punti percentuali.

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