PUNTO DI VISTA

“Bene le competenze informatiche allo Stato, ma no alla inhouse moloch”

Jacopo Avegno, dirigente Regione Liguria, sulla revisione dell’articolo 117 voluta da Quintarelli (Sc): “Riforma attesa da tempo, così ci sarà strategia unitaria a livello nazionale”

Pubblicato il 16 Feb 2015

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La riforma dell’articolo 117, secondo comma, lettera r) della Costituzione, che attribuisce allo Stato non solo il coordinamento “dei dati” delle amministrazioni centrali, regionali e locali, ma anche dei Processi, delle Infrastrutture e delle Piattaforme, riforma presentata da Stefano Quintarelli e fortemente voluta e sostenuta dall’Intergruppo parlamentare sull’Innovazione è stata salutata da moltissimi come una dovuta liberazione del mondo digitale dalla confusione e dalla parcellizzazione fin qui operata dagli enti territoriali, in primis le Regioni. Quasi che, secondo certe letture, fosse la Costituzione la causa di questa situazione, e ci fossero negli enti resistenze colpevoli e potenti a costruire un futuro semplice e digitale al nostro Paese.

Almeno da parte mia non è assolutamente così. La riforma costituzionale è un segnale politico importante, che si attendeva da tempo, in un mondo che da troppi anni è privo di una strategia unitaria a livello nazionale, e dove gli enti, abbandonati a se stessi, hanno dovuto adottare scelte “al buio” per andare avanti ed applicare normative pensate da menti “analogiche” che non hanno mai a cuore i processi ma soltanto la forma esteriore.

Gli esempi si sprecano: si pensi all’applicazione della normativa sulla trasparenza, che prescrive un risultato senza pensare a definire il processo necessario perché i dati siano pubblicati, alle svariate normative sui documenti digitali, che non si sono mai curate della conservazione, alla normativa sul riuso, che, lungi da essere un “riciclo” di programmi a basso costo è diventato fucina di affidamenti diretti in esclusiva con costi spesso superiori a quelli di mercato.

Si pensi alla babele delle infrastrutture, dove regioni e province autonome hanno investito milioni di fondi strutturali per realizzare la Banda Larga, ciascuno con soluzioni diverse a seconda del budget a disposizione, e della morfologia del territorio, e dove lo Stato centrale è a sua volta intervenuto con la propria società in house Infratel, a sua volta con una tecnologia ed un metodo diversi.

Eppure le occasioni ci sono: in questi mesi le Regioni stanno cambiando la propria contabilità, uniformandola a quella degli altri enti. L’occasione di una piattaforma comune è quindi dietro l’angolo, così come quella di definire processi comuni per tutti, perché impegnare e liquidare una somma non può e non deve essere diverso da nord a sud dell’Italia. E invece le scadenze, il tempo che passa, costringono gli enti a spendere denaro pubblico per adottare soluzioni diverse.

Sempre in questi mesi tutte le amministrazioni pubbliche devono rendere tracciabili e trasparenti i propri processi, aperti i propri dati, scaricabili le proprie fatture, che dal 31 marzo per tutti gli enti locali saranno solo elettroniche. Quale occasione migliore per rivedere i processi decisionali, per acquisire magari applicativi comuni, open source, facendo finalmente committenza digitale e permettendo all’Italia di sviluppare industrie competitive a livello internazionale?

Per questo non solo saluto con favore la riforma, ma ne sono entusiasta! Già adesso la Liguria si sta offrendo come sperimentatore del nuovo SPID (il PIN unico), sta creando delle infrastrutture a servizio del nodo dei pagamenti e della fatturazione elettronica, sta realizzando una rete WiFi pubblica a livello territoriale federata a livello nazionale con altre reti pubbliche tramite l’iniziativa FreeItaliaWifi. Per questo stiamo riorganizzando la nostra società in house Datasiel (ora Liguria Digitale), una delle più grandi d’Italia, trasformandola da soggetto produttore di software a Consorzio che si ponga a servizio di tanti enti pubblici, nella logica di rivedere i processi, le infrastrutture, le piattaforme secondo le indicazioni che verranno dall’Agenzia Italia Digitale.

E devo dire che per la prima volta le indicazioni cominciano ad arrivare: si pensi al Piano Crescita Digitale, Banda Ultralarga e Competenze Digitali, documenti-cornice che permettono di definire una strategia verso cui puntare.

Si pensi alla creazione, all’interno della Conferenza delle Regioni, di una Commissione specifica sull’Agenda Digitale, mutando l’esperienza parlamentare dell’Intergruppo e cercando di dare a questo tema così trasversale e determinante per le riforme la dignità che merita.

In questo quadro sicuramente bisognerà pensare ad un riordino delle esperienze territoriali: non si può pensare che tutti sappiano fare o debbano fare tutto. Lo spreco sta proprio in questo, nel fatto che, in assenza dello Stato centrale ogni territorio è stato costretto a sviluppare o acquistare proprie soluzioni per tutto, dal Fascicolo Sanitario alla Ricetta dematerializzata, alla conservazione sostitutiva, alla trasparenza, ai sistemi del Lavoro, al CUP e così via.

Mi sembra giusto puntare quindi su una specializzazione dei territori, che tenga conto delle eccellenze presenti e della vocazione di ciascuno, del tessuto industriale e dell’indotto. Non penso che la soluzione sia invece la concentrazione delle soluzioni, perché si rischia di duplicare al centro quello che in periferia c’è già. L’idea, circolata in questi giorni, di una mega inhouse-moloch dello Stato in materia Digitale in questo senso mi sembra pericolosa, perché rischierebbe di portare al centro l’elefantiasi già vista in periferia.

Credo invece fortemente che lo Stato debba interpretare il suo nuovo ruolo di Coordinamento riunendo le migliori competenze, mettendo insieme tutte le teste portatrici di una visione “digitale” in modo da operare una contaminazione delle tante eccellenze dei territori, e una coscienza degli errori già commessi in passato.

Su questo punto sono senz’altro disponibile, penso sarebbe motivante e porterebbe un aiuto al nostro Paese. Penso sia la strada giusta, perché nei territori non ci sono solo resistenze corporative: ci sono tante idee, tanti bisogni inespressi, tanta voglia di cambiare.

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