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Big data, passione matematica

Mignemi (Sas Italia): “Il nodo sarà capire quali variabili siano realmente in grado di fornire nuove interpretazioni per spiegare i fenomeni e aiutare il business”

Pubblicato il 15 Lug 2013

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Due parole magiche, usate parecchio ultimamente, come big data e analytics, stanno facendo la fortuna della maggiore società al mondo nel software per la business intelligence, ovvero di Sas Institute.
Una multinazionale da quasi 3 miliardi di dollari, che ne spende un quarto in ricerca e sviluppo, e cresce anche in tempo di crisi (+5,4% nel 2012), forse proprio grazie alla crisi. Ne parliamo con Maria Luisa Mignemi, direttore dei Servizi Professionali di Sas Italia.
Immagino faccia piacere a Sas che si parli molto di big data, ma non siamo arrivati all’eccesso di dati disponibili?
La crescita dei dati è esponenziale. Più device, più accessi: è inevitabile. L’urgenza dei prossimi anni non è, però, l’eccesso, ma il rischio che tanti dati non producano altrettante informazioni. La sovrabbondanza è pericolosa tanto quanto il suo opposto, il deficit di informazioni. Il nodo sarà quello di capire quali variabili significative siano realmente in grado di fornire nuove interpretazioni per spiegare i fenomeni e aiutare il business. È la prima cosa che si studia con la statistica.
Ricordi universitari che ancora si rivelano utili?
Certo. La matematica per me è una passione, oltre che un titolo di laurea. Ricordo che aggiunsi al piano di studi l’esame di statistica quasi per gioco, perché mi promisero che avrei usato il software di Sas. Fu una fortuna, poi trovai lavoro grazie a questa esperienza di elaborazione dati. Prima con un partner Sas, poi entrai in Omnitel e dopo un passaggio in Ernst & Young, approdai in Sas Italia. Pensai subito che fosse il posto giusto per un matematico. Oggi, dopo 12 anni, dirigo l’area dei Servizi Professionali.
L’area della consulenza ha sempre un punto di vista privilegiato sul mercato. Lei vede trend particolari?
Big data e analytics sono due questioni trasversali alle imprese di ogni settore, ma sono molto “caldi” anche il tema della marketing intelligence e del risk management. Da una parte si studia come trattenere e acquisire i clienti, un problema molto diffuso oggi, dall’altra come garantire la corretta gestione del rischio per il sistema d’impresa, un tema caldo, per esempio, nel sistema bancario dopo Basilea 2 e 3.
Sono trend determinati dalla crisi?
No, sono sempre state iniziative core. Oggi però vengono contestualizzate. Si prende il rischio. Alla fine è un costo. In un momento come questo, in cui si cerca di massimizzare il profitto, l’attenzione alla corretta gestione in ambito di risk management diventa fondamentale. La necessità, si dice, aguzza l’ingegno, ma acutizza anche alcuni bisogni, tra i quali il controllo sull’insorgenza dei problemi. Lo stesso si può dire del marketing, una leva fondamentale, per tenere i cliente, il bene più prezioso in tempo di crisi. Va mantenuto, soddisfatto e stimolato con nuove offerte. L’analisi dei dati aiuta il monitoraggio e la pianificazione di campagne, sia in ottica di prevenzione sia di proposizione.
Quanto si investe su questo?
Buona parte della spesa oggi viene posta sulla marketing analysis. Per noi vale tra il 30 e il 40% delle attività dei Servizi di consulenza. Ma è in aumento anche l’investimento sul risk management. Conoscere tutti i rischi, non solo finanziari, e avere piani per mitigarli è un’attenzione in crescita nel mercato, in generale.
La sfida dei numeri si gioca più sul fronte esterno o interno alle aziende?
In realtà si gioca nel governare entrambi in maniera coerente, ovvero nell’equilibrio delle due componenti. Si pensi al marketing. A ben vedere il cliente giusto non è soltanto quello nel segmento corretto di mercato, ma anche quello meno rischioso. Mettere in relazione i dati interni ed esterni consente di bilanciare opportunità di crescere e rischi per la sostenibilità. Al di là delle strategie aziendali, anche i numeri aiutano.
E possono aiutare anche le piccole imprese?
Certo, anche se i benefici sono forse più sbilanciati sulla questione delle performance. Avere il controllo dell’azienda, dal punto di vista numerico, significa correlare costi e ricavi per prevedere i consumi e le spese o anticipare problemi di stoccaggio di magazzino. È difficile governare le cose mentre accadono, mettendole in relazione al futuro. Prevedere, però, significa sopravvivere.
Come evolve la tecnologia Sas?
Verso i grandi sistemi di elaborazione di big data e verso il cloud. Segue i ritrovati della tecnologia. È business as usual, si può dire. Veramente nuova in termini di discontinuità è, invece, l’attenzione al mondo delle tecnologie touch e visual, da cui sono nati i visual analytics, un prodotto di reporting per visualizzare dati in maniera semplice su dispositivi mobile e smartphone.
Internamente usate strumenti Sas?
Sì, capita. Oltre agli strumenti in uso, però, non ne manca mai uno, che è quello basato sul contatto umano. Personalmente, sebbene il mio lavoro sia tecnologico, basato su strumenti e metodi, punto molto sulla customer experience. Vedere le cose come stanno accadendo, presso i clienti, è un valore aggiunto. Aiuta a far venire idee, condividere soluzioni e per me anche fonte di entusiasmo.
A livello personale usa molti software e strumenti?
Beh, sono quasi “dipendente” dall’iPad, lo trovo molto comodo e lo uso moltissimo in movimento. Uso Facebook e Skype, quotidianamente, a livello lavorativo e un po’ personale per vedere a distanza mia figlia di tre anni.
Quale app usa di più quando non lavora?
È un’applicazione per leggere una rivista di moda.
E l’ultima che ha installato?
È un’app per il monitoraggio della business intelligence interna a Sas.
Come donna riesce a bilanciare vita professionale e personale?
Sì, anche se non è banale. Il business assorbe tempo. Vorrei passare il 100% del mio tempo con mia figlia, ma è impossibile. Non resta che vivere al meglio il tempo che resta, puntando sulla qualità.
Che cosa consiglia ad altre donne per riuscire nel lavoro?
Suggerei di puntare sempre sulle competenze. Il mondo dell’Ict si basa molto su ciò che si sa fare ed è indispensabile non stancarsi mai di investire in questa direzione. Si dice poi che le donne abbiano migliori capacità “multitasking”. Ebbene, il mio consiglio è acquisire davvero questa qualità.
Che cosa significa “essere competenti”?
Intendo avere conoscenze e capacità personali e professionali per sapere gestire persone e situazioni, anche impreviste. Significa sapere e approfondire, non lasciare che siano soltanto altri a saper fare o conoscere ciò che serve. Significa gestire situazioni di emergenza. La competenza è ciò che va sopra le questioni di genere: a investire sulle competenze non si sbaglia mai. A volte i risultati non arrivano subito, ma alla fine paga.

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