Brenner: “Le startup all’attacco delle sfide urbane”

La fondatrice dell’incubatore Tumml: “Facciamo nascere una nuova classe
di imprenditori: obiettivo la risoluzione dei problemi delle città”

Pubblicato il 24 Ott 2014

Luciana Maci

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La nuova frontiera delle startup è l’urban development, lo sviluppo di servizi destinati alla città, in grado di migliorare la qualità della vita dei suoi abitanti e trasformarla in smart city. Ne è convinta Clara Brenner, imprenditrice americana che, con un team di coetanei, ha fondato Tumml, incubatore per company appena nate, attive nel settore della raccolta rifiuti, della mobilità, del disagio sociale e simili. Società no profit basata a San Francisco, Tumml è stata tra le prime a individuare e in qualche modo a classificare il nascente fenomeno degli “Urban impact entrepreneurs” (Uie). E ha deciso di scommettere tutto su questa nuova realtà, coltivando nell’incubatore startup da tutto il mondo, alle quali viene fornito un investimento seed, assistenza di mentor altamente qualificati e possibilità di incontri con gli investitori. A patto che, specifica Brenner, siano società in grado di scalare rapidamente, ovvero di poter replicare il loro modello di business da Roma a New York a Tokyo.
Quali sono le sfide dei nuovi imprenditori urbani?
Molte sono simili a quelle di altri imprenditori, ma ce ne sono almeno un paio che sono caratteristica esclusiva della categoria: la prima riguarda la raccolta di finanziamenti. Come è emerso dagli studi preparatori avviati dal nostro team in vista della nascita di Tumml, gli Uie hanno meno della metà delle probabilità degli imprenditori tradizionali di assicurarsi finanziamenti dagli investitori. Questo è dovuto in gran parte al fatto che molti di loro lavorano con prodotti fisici: pensiamo al bike sharing o al car sharing. Se lavori in questi campi devi acquistare lotti di biciclette o di automobili, è ovvio, e questo è molto costoso. Certamente più costoso degli investimenti che comporta, per esempio, la creazione di una startup sviluppatrice di app. L’altra grande sfida è il rapporto con le amministrazioni pubbliche. Gli Uie hanno due volte in più la probabilità rispetto ai loro colleghi ‘tradizionali’ di entrare in contatto con leader della società civile ed esponenti del governo. Hanno bisogno dell’aiuto delle amministrazioni pubbliche, chi più chi meno. Per esempio se fanno bike o car-sharing hanno bisogno dello spazio pubblico sul quale operare. E, in ambito pubblico, ci sono regole da rispettare o anche aree grigie dei regolamenti. È un terreno complicato.
Come affrontare le difficoltà?
Tumml è nata proprio per aiutare questo tipo di imprese. Siamo un’associazione no profit, i nostri finanziatori sono fondazioni o altre organizzazioni interessate a supportare la rivitalizzazione urbana soprattutto per motivi sociali. Tutti i nostri mentor sono volontari e vengono dalle multinazionali, da AirBnb, la piattaforma per l’affitto di abitazioni, a Yelp, sorta di Pagine Gialle internazionali: in particolare sono persone che hanno avuto idee di successo per gli spazi urbani e che ora vogliono supportare chi sta percorrendo lo stesso cammino.
Qualche esempio di “urban development startup” che si sta affermando?
Attualmente lavoriamo con Hand Up, una piattaforma mobile che mette in collegamento homeless o persone a rischio con una comunità di donor. Chi ha bisogno di cure mediche, alloggio o supporto economico si iscrive a Hand Up attraverso i community partner, i donor versano un contributo in denaro direttamente a chi lo ha chiesto e il beneficiario è tenuto ad aggiornare costantemente i membri della comunità su come sta proseguendo il suo percorso. Nel nostro portfolio c’è anche Hitch, una soluzione di carsharing fruibile esclusivamente da mobile che consente di richiedere un passaggio in auto a una comunità di “amici” ed è stata recentemente acquisita da Lyft, il principale rivale negli Usa di Uber. Individuiamo aziende che sono ad uno stadio primario in tutto il mondo. Due terzi delle richieste per entrare a far parte del nostro acceleratore arrivano da fuori della Baia di San Francisco. Dall’ultima call per partecipare alla nostra selezione è emerso che un terzo delle domande veniva dall’estero. Purtroppo non abbiamo mai incubato startup italiane, ma saremmo estremamente lieti di farlo.
Una soluzione per lo sviluppo urbano tagliata su Roma o Milano può funzionare per città in altri Stati o altri continenti?
Ogni città ama pensare a se stessa come speciale e diversa, il che è vero da una prospettiva culturale e storica, ma alla fine i problemi connessi alla permanenza in aree metropolitane sono simili per tutti. Qualsiasi Paese dovrebbe avere come priorità lo sviluppo delle smart city, perché sono in grado di migliorare la vita dei cittadini e di conseguenza comportano un incremento della ricchezza diffusa. Penso a Big Belly Solar, un’azienda americana che, usando l’energia solare e l’IT, ha implementato programmi pubblici di riciclaggio dei rifiuti. Questa company ha scalato molto rapidamente in molte città statunitensi, dimostrando di essere un modello replicabile, oltre che efficiente.
E il ruolo degli enti pubblici?
Le società di urban development, che fanno prodotti consumer o B2B, necessitano del supporto della PA, ma non intendono entrare a farne parte. Quello che può fare l’amministrazione pubblica è sostenere queste realtà. Non abbiamo ancora statistiche sui risparmi che può comportare per un’amministrazione la presenza di company di questo tipo, ma certamente favoriscono la risoluzione di diversi problemi e creano posti di lavoro.

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