Mario Draghi è tornato a Bruxelles con la stessa lucidità chirurgica che lo contraddistingue. Un anno dopo la consegna del suo rapporto alla Commissione europea, l’ex premier ha ribadito che il vero peccato originale dell’Unione è l’autocompiacimento. L’inerzia, ha avvertito, non minaccia solo la competitività: mette in discussione la sovranità stessa dell’Europa.
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Un’Europa lenta, mentre il mondo corre
I numeri non lasciano spazio alle interpretazioni. Il debito pubblico europeo è destinato a sfiorare il 93% del Pil entro dieci anni. Gli investimenti necessari per sostenere la crescita e le trasformazioni digitali ed energetiche sono passati da 800 a 1.200 miliardi di euro l’anno, con un incremento della quota pubblica dal 24% al 43%. Tradotto: oltre 500 miliardi di risorse pubbliche in più ogni anno, in un contesto in cui i margini di bilancio sono sempre più stretti.
Eppure, delle 383 raccomandazioni contenute nel Draghi Report, solo una manciata è stata recepita. Nel frattempo, gli Stati Uniti hanno imposto i dazi più alti dagli anni Trenta e consolidato la loro leadership tecnologica con investimenti senza precedenti in AI, difesa e semiconduttori. La Cina ha ampliato il proprio avanzo commerciale verso l’Europa del 20% da dicembre e rafforza la morsa sulle materie prime critiche, riducendo la capacità dell’Ue di contrastare il dumping e di rispondere al sostegno cinese alla Russia.
Competitività e digitale al centro della sfida
Il monito di Draghi tocca il cuore dell’agenda europea: senza un’accelerazione decisa su digitale, tecnologie avanzate e infrastrutture, l’Europa rischia di restare schiacciata tra Washington e Pechino. Colmare il divario di innovazione nelle tecnologie critiche, tracciare un percorso di decarbonizzazione sostenibile e rafforzare la sicurezza economica: queste, secondo Draghi, sono le tre priorità non più rinviabili.
L’Europa, però, appare imbrigliata nella sua stessa architettura decisionale. Troppo spesso la lentezza viene giustificata con il rispetto delle procedure complesse o dello Stato di diritto. Draghi ribalta la prospettiva: è autocompiacimento, mentre i concorrenti globali, pur rispettando le regole, sono molto meno vincolati.
Il nodo degli investimenti e il debito comune
Il fabbisogno di finanziamento europeo è imponente, e la sola spesa nazionale frammentata non basta più. Draghi ha rilanciato con forza l’idea di un debito comune: non come panacea, ma come strumento per finanziare i progetti che aumentano la produttività – AI, reti energetiche, ricerca e sviluppo, difesa – e che nessuno Stato può sostenere da solo.
Emettere debito comune significa concentrare le risorse, amplificare i benefici del coordinamento e creare le condizioni per far crescere più rapidamente la produzione rispetto al costo degli interessi. Ma non solo: se l’Europa abbassa le barriere del mercato unico e permette alle imprese di scalare più velocemente, anche i mercati dei capitali europei potranno contribuire a finanziare la quota privata delle necessità di investimento.
Una riforma politica e istituzionale
L’analisi di Draghi si spinge oltre l’economia. In alcuni ambiti cruciali, ha sottolineato, l’Ue deve iniziare ad agire meno come una confederazione e più come una federazione. Significa superare i veti, rafforzare i meccanismi di cooperazione rafforzata, agire come “coalizioni di volenterosi” se necessario.
Una sfida che richiede tempo, ma il tempo – ha avvertito Draghi – non è una variabile infinita. La richiesta è produrre risultati entro mesi, non anni.
La sveglia anche per l’Italia
Il messaggio scuote non solo Bruxelles, ma anche Roma. L’Italia deve cogliere l’occasione di questo dibattito per accelerare sulla digitalizzazione, spingere su cloud, intelligenza artificiale, infrastrutture di rete e cybersecurity, senza farsi paralizzare dalla frammentazione amministrativa e politica.
Il richiamo a “guardare oltre le preoccupazioni quotidiane” e a condividere un destino europeo comune non è retorica: è un imperativo politico ed economico. Continuare con l’autocompiacimento significa accettare di restare indietro, mentre Stati Uniti e Cina corrono.
Il tempo delle scelte
Il discorso di Draghi, un anno dopo il suo rapporto, non è un semplice monito ma un’agenda. Agire insieme, concentrare risorse, spingere sulle riforme, abbattere tabù consolidati: questa è la via per restituire all’Europa competitività e sovranità.
La certezza è una sola: “Il business as usual non funziona più”. L’Europa è davanti a un bivio. Restare immobili significa rassegnarsi a un declino lento ma inevitabile. La strada alternativa è quella dell’unità, degli investimenti comuni e del coraggio politico. Draghi ci ricorda che la finestra per scegliere non resterà aperta a lungo.