Capitani: “Pmi e PA sono mondi vicini, il muro da abbattere è culturale”

Il presidente di NetConsulting: “Il cloud sarà disruptive per i modelli di business tradizionali: aziende ed enti dovranno farci i conti”

Pubblicato il 06 Apr 2015

capitani-giancarlo-150402094551

Città digitali, stampa 3D, PA 3.0. I temi sul tavolo per le Pmi sono molti. Quando si parla di sfide digitali, il dubbio è capire quali sono le cose urgenti e quali quelle importanti. Quali sono i driver attivi e le reazioni. In buona sostanza, se si può essere ottimisti per le Pmi davanti alla sfida digitale. “Dobbiamo essere ottimisti, sì. Ma in questo “sì” c’è un “ma”, che è dovuto al fatto che personalmente credo poco all’adozione spontanea da parte delle Pmi delle tecnologie o dei servizi di tipo digitale. Ma il discorso è più ampio”, sottolinea Giancarlo Capitani, presidente di Netconsulting e docente al Politecnico di Milano.
Capitani, come stanno le cose?
Le Pmi non sono tutte uguali. Bisogna pensare alle premesse metodologiche e stabilire criteri di analisi tra piccole e medie. E poi differenziare le fasce delle piccole: da 0 a 9 dipendenti, da 10 a 99 e poi le medie, che arrivano fino a 250. Tre categorie con forti differenze. E poi distinguere tra imprese che operano sul mercato interno e quelle che esportano.
Questa seconda differenza come caratterizza le Pmi?
Le imprese che esportano sono soprattutto le medie, abituate a misurarsi con competitor internazionali e tipicamente portate a usare in modo pieno e strategico tecnologie e servizi digitali. Sono obbligate dal mercato, insomma. Quelle che lavorano solo nel mercato interno, invece, hanno vita più grama. Ci sono driver che le muovono verso le sfide digitali, ma il ritardo dipende in buona parte da quello che indica la Banca d’Italia e su cui sono d’accordo.
Cioè?
Queste aziende nel tempo si sono avvalse di intermediari per la gestione della fiscalità e dei dipendenti: consulenti del lavoro e commercialisti. Delegando, le imprese hanno creato flussi di documenti cartacei e analogici. L’accelerazione della digitalizzazione qui passerà anche dalla digitalizzazione della PA, sicuramente, come l’obbligo di fatturazione elettronica al via da quest’anno.
Qual è il ruolo dell’e-commerce, invece?
Le imprese che non riescono a stare sui mercati di destinazione dell’export, i mercati ad alta opportunità, si devono spostare sempre più sull’e-commerce sia per la vendita che per gli acquisti. Nel nostro sistema siamo messi male: tra gli ultimi in Europa. Solo un decimo delle aziende sopra i 10 addetti ha venduto online nel 2014. L’incidenza sul fatturato globale delle imprese italiane è di meno dell’8%, il 10,7% per le grandi e il 2,3% per le piccole. C’è uno spazio enorme da colmare in quest’ambito.
Si parla spesso di cloud come fattore di accelerazione per le Pmi. Nella sua prospettiva è così?
Favorisce sicuramente la digitalizzazione, usando il termine in senso ampio. Posta elettronica gestita, sistemi di produttività come Office 365 di Microsoft hanno prezzi bassi e stanno diventando maturi. La penetrazione degli smartphone e dei tablet gioca anch’essa un ruolo importante.
Quale può essere il percorso?
A mio avviso bisogna usare una scala temporale molto attenta: la fase attuale 2014/2015 copre la fatturazione elettronica, l’e-commerce, le app in mobilità e il cloud computing. Ci sarà un elemento facilitatore che sarà l’infrastruttura in banda ultralarga, quando sarà disponibile. Si avviano adesso le operazioni per dotare il territorio delle risorse opportune, ma questo avverrà nel 2016, oggi è invece un ostacolo. Questa è una fase di recupero.
Che sarà seguita quindi da una fase di sviluppo?
Certamente: toccherà temi come la business intelligence, la stampa 3D, la green economy e via dicendo. Le vedo però come due fasi distinte, perlomeno se non consideriamo le startup, che per definizione hanno competenze tecnologiche avanzate e si comportano come grandi imprese evolute, ma guardiamo invece alle Pmi classiche. Poi c’è da fare una ulteriore distinzione.
Quale distinzione?
Ho parlato finora di lato domanda delle tecnologie. In Italia ci sono molte Pmi che sono nell’offerta del settore Ict. Molte dovranno fare i conti con l’evoluzione dettata dal cloud che sarà disruptive per il loro modello di business tradizionale, perché disintermedia. Dovranno cambiare modello o spariranno dal mercato.
Il problema delle Pmi quindi è di pianificazione ed esecuzione?
In modo più profondo, è un problema culturale. Le Pmi non capiscono l’importanza di un investimento nel digitale per l’azienda stessa. Il digitale viene vissuto come un fastidio tecnologico, una ulteriore complessità operativa. Si veda nella Pubblica amministrazione anche la vicenda triste dell’agenda digitale, che stenta a prendere piede e non viene vista a mio parere come strumento necessario per la spending review. Insomma, come per la digitalizzazione della PA, anche se ovviamente su scala diversa, il vero problema delle Pmi è il gap di natura culturale, non tecnologica.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati