L'ECONOMISTA

Carlo Scarpa: “Agenda digitale, manca una vision politica”

“Se non c’è una strategia che faccia dell’IT l’asset del rilancio il piano è a rischio”, sottolinea il docente di Economia politica dell’università di Brescia. “Servono premi e sanzioni per la PA: così si scardina la burocrazia che resiste all’innovazione”

Pubblicato il 29 Ott 2012

Federica Meta

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“All’Agenda digitale manca una vision politica e un’idea di trasformazione del Paese». È tranchant il giudizio di Carlo Scarpa, professore ordinario di Economia Politica presso l’Università di Brescia.

Non salva nulla dell’Agenda digitale?

Non si tratta di salvare un progetto piuttosto che un altro. Certamente va bene dire che in Italia serve più banda larga o che la PA va digitalizzata. Ma se dietro questi progetti non c’è una strategia politica forte che faccia dell’IT l’asset del rilancio della crescita del Paese, temo che anche questa agenda rimarrà sulla carta. Si stanno ripetendo errori già fatti in passato pensando che possa bastare un decreto a cambiare il Paese. Il primo “decreto sviluppo” che ricordo era del maggio 2011 – il Dl 70, finito poi in Gazzetta Ufficiale il 12 luglio e conteneva, tra le altre, “zone a burocrazia zero”, interventi sulla scuola e interventi di semplificazione. Poi nel giugno 2012 abbiamo avuto un altro decreto sviluppo – il Dl 83, andato in Gazzetta l’11 agosto 2012 – al cui centro si trovavano “Misure urgenti per la crescita del Paese”. Ora abbiamo un altro decreto sbandierato come ugualmente orientato allo sviluppo – anzi alla crescita – che promette per l’ennesima volta semplificazione nei rapporti con la pubblica amministrazione e digitalizzazione dell’amministrazione e della scuola, facendo – come per magia – da volano alla ripresa economica.

E non sarà così a suo avviso?

Per prima cosa la ricaduta economica di questi provvedimenti , nel caso si concretizzassero, si potrà rilevare in un periodo che va da 3 a 5 anni: non esistono provvedimenti salvifici che da un giorno all’altro danno la svolta. Io ho massimo rispetto per chi ha in mano il difficile compito di raddrizzare questo paese, ma la stanchezza di fronte agli slogan è grande. Abbiamo visto molti più “decreti sviluppo” che sviluppo vero; non sarebbe meglio evitare di sbandierare etichette di seconda mano e purtroppo logore? Anche il contenuto purtroppo, visti gli insuccessi del passato, perde di credibilità. Anni di tentativi di digitalizzazione non hanno prodotto gran che . Mentre il tira-e-molla su chi debba guidare l’agenzia digitale continua ad assomigliare ad una rissa da basso impero e gli investimenti per colmare il digital divide rimangono a livelli – come giustamente ricordato dal presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi – da aperitivo.

Ma la banda larga è uno dei provvedimento “core” del decreto…

Sì, ma se non si chiarisce chi deve fare questa benedetta banda larga e quale tecnologia – Fiber to the home oppure fiber to the cabinet? – adottare temo che il ritardo infrastrutturale ce lo porteremo dietro ancora per un bel po’ di tempo. Non si tratta di decisione “tecniche” ma di decisioni squisitamente politiche che un governo deve avere il coraggio di prendere. Senza queste anche i progetti sulla fibra di Telecom Italia o di Metroweb rischiano di non servire.

Il decreto dedica ampio spazio anche alla digitalizzazione della PA. Lei che idea si è fatto dei provvedimenti?

Anche in questo caso nessuno può eccepire che la PA va digitalizzata perché diventi più efficiente e più produttiva visto che contribuisce a realizzare gran parte del Pil del Paese. Detto questo, io credo che nessun provvedimento nella direzione di una vera innovazione possa prescindere da un mutamento nel modo di lavorare.

Ovvero?

Servono incentivi e premi per chi lavora meglio e sanzioni per chi non adempie gli obblighi di legge. Contestualmente c’è bisogno di un investimento forte nella formazione. Senza questi elementi tutte le nuove norme resteranno esclusivamente carattere “ordinatorio” ovvero diranno che la PA “in linea di massima” dovrà operare in digitale. Credevamo che la legge Bassanini del 1997 avesse messo la parola fine a un rapporto cittadini-amministrazione simile a quello che avevamo nel periodo feudale. Purtroppo la burocrazia è molto più forte del nostro legislatore e ha disfatto tutto quanto si era cercato di fare, come ben sa chi ha a che fare quotidianamente con i processi amministrativi. Quindi mi chiedo: perché l’attuale tentativo di riforma digitale dovrebbe funzionare?

Che fa? Rimpiange il meccanismo premio-sanzione dell’ex ministro della PA e Innovazione, Renato Brunetta?

Guardi, è inutile mettere su carta tante riforme se poi la loro attuazione resta nella totale discrezionalità della nostra burocrazia, il cui potere risiede non certo nella semplificazione ma cresce proprio quando i processi sono oscuri e incontrollabili.

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