LA PETIZIONE

Chip, 123 top manager dell’hi-tech Usa a favore della legge contro la Cina

La lettera inviata al Congresso dalla Semiconductor Industry Association firmata anche da Pichai (Alphabet), Jassy (Amazon) e Nadella (Microsoft). Obiettivo: sostenere l’approvazione di un quadro normativo che rafforzi la competitività economica degli Stati Uniti rispetto a Pechino. E l’India intanto annuncia investimenti per 30 miliardi di dollari sulla supply chain

Pubblicato il 17 Giu 2022

Domenico Aliperto

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Ci sono anche i numeri uno di Alphabet, Amazon e Microsoft tra i 123 dirigenti che hanno invitato il Congresso Usa ad approvare un quadro normativo che rafforzi la competitività economica degli Stati Uniti rispetto alla Cina, anche per quanto riguarda la produzione di chip.

I top manager hanno firmato una lettera in cui esortano la Camera dei rappresentanti e il Senato degli Stati Uniti, ciascuno dei quali ha approvato diverse versioni della legislazione, a raggiungere un accordo e inviare un disegno di legge comune al presidente Joe Biden per il via libera finale. La Semiconductor Industry Association (Sia), che ha organizzato la firma del documento, ha affermato di essere riuscita a mettere insieme il più grande gruppo di leader aziendali a sostegno del disegno di legge.

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Gli obiettivi della petizione

“Sia si unisce ai leader aziendali statunitensi nel chiedere al Congresso di approvare rapidamente la legislazione sulla competitività che includa finanziamenti critici e incentivi per la ricerca, la progettazione e la produzione nazionali di semiconduttori”, ha affermato John Neuffer, presidente e Ceo dell’associazione. “Come dimostrato dall’ampiezza dei firmatari, l’economia, la forza lavoro, la sicurezza nazionale e la leadership tecnologica americane sono basate sui semiconduttori. Gli investimenti federali nell’ecosistema dei semiconduttori statunitensi garantiranno che gli Stati Uniti continuino a essere leader nei settori critici di domani, creando al contempo centinaia di migliaia di posti di lavoro americani ben retribuiti, rafforzando la nostra economia e proteggendo le nostre catene di approvvigionamento per i decenni a venire”.

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“La quota della capacità di produzione di semiconduttori situata negli Stati Uniti è diminuita dal 37% nel 1990 al 12% di oggi. Questo calo è in gran parte dovuto ai sostanziali incentivi alla produzione offerti dai governi dei nostri concorrenti globali, che pongono gli Stati Uniti in uno svantaggio competitivo nell’attrarre nuove costruzioni di impianti di produzione di semiconduttori”. D’altra parte, “i nostri concorrenti globali stanno investendo nel loro settore, nei loro lavoratori e nelle loro economie, ed è imperativo che il Congresso agisca per migliorare la competitività degli Stati Uniti”, si legge nella lettera. La nuova legislazione, se approvata, potrebbe portare a 52 miliardi di dollari in finanziamenti federali per espandere la capacità di produzione di semiconduttori negli Stati Uniti.

E l’India investe 30 miliardi di dollari sulla supply chain

Ma sul fronte dei microprocessori, gli Stati Uniti non devono fare i conti solo con la Cina. L’India ha infatti annunciato di voler investire 30 miliardi di dollari per rilanciare la propria industria tecnologica anche attraverso il potenziamento della supply chain dedicata ai semiconduttori, che aiuti il Subcontinente a non essere più “tenuto in ostaggio” dai fornitori stranieri. “La domanda di semiconduttori è in aumento. Entro il 2030 arriveremo a un volume di 110 miliardi di dollari, pari a oltre il 10% della domanda globale”, ha dichiarato il direttore generale dell’Associazione India-Taipei, Gourangalal Das. “Dobbiamo assicurarci in qualche modo che la nostra domanda di semiconduttori non subisca le fluttuazioni delle catene di fornitura, come accaduto durante la pandemia”.

Secondo Das, gli investimenti pianificati dal governo indiano permetteranno di incrementare la produzione locale di semiconduttori, schermi, composti chimici avanzati, sistemi di rete e batterie, basandosi però su un settore manifatturiero che dispone di tecnologie più stabili ma meno avanzate rispetto ai concorrenti globali.

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