Claudio Bassoli: “PA digitale per i cittadini del futuro”

Il vp Enterprise Group Hpe: “Innovare i sistemi per rendere efficienti i servizi. Il governo sta accelerando, ma a questo sprint bisogna accompagnare una maggiore collaborazione con le imprese che fanno innovazione digitale”

Pubblicato il 08 Giu 2016

Andrea Frollà

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Maggiore collaborazione pubblico-privato, passaggio da sistemi legacy a modelli open standard, big data e cultura della sicurezza. Hpe ha da tempo delineato la propria ricetta per accelerare la digital transformation della Pubblica amministrazione. Una sfida tanto complicata quanto ambiziosa che secondo Claudio Bassoli, vicepresidente Enterprise Group di Hewlett Packard Enterprise, deve però seguire una traiettoria ben definita: “Non si tratta solo di passare dalla carta al digitale. Bisogna ripensare i processi e innalzare l’efficienza complessiva dei sistemi”.

Partire dal rinnovamento delle infrastrutture, per abbattere i costi di gestione e offrire servizi più efficienti.

Digital transformation nella PA. Cosa serve per accelerare questo processo?

Partirei dal Digital Economy and Society Index della Commissione Ue, che colloca l’Italia al 25° posto sui 28 Paesi europei e che dunque testimonia la necessità di fare ancora molto. Ciò nonostante, l’Unione europa riconosce l’esistenza di un grande fermento e di una spinta diretta a recuperare il gap accumulato. Questo scenario è lo stesso che Hpe osserva quotidianamente. Il Governo sta accelerando sulla digitalizzazione, con investimenti importanti anche per la PA: Spid, iscrizioni online del Miur e altre evoluzioni digitali nella sanità e nei trasporti. A questo sprint bisogna accompagnare una maggiore collaborazione con le imprese che fanno innovazione digitale. Solo così avremo a disposizione più carte per correre velocemente, attraendo nuovi investimenti e rendendo più efficienti i servizi per i cittadini.

In quali ambiti Hpe sta concentrando gli sforzi?

Noi stiamo operando con attenzione in diversi ambiti. A partire dal rinnovamento delle infrastrutture, puntando sul passaggio da sistemi legacy datati a nuove soluzioni open standard e interoperabili, basate sull’iperconvergenza e sul cloud per abbattere i costi di gestione. Una trasformazione che si lega strettamente alla cybersecurity, perché proteggere la cittadinanza digitale è una priorità.

Un terzo aspetto riguarda l’utilizzo della moltitudine di dati raccolti dalle pubbliche amministrazioni, ottenuti dalle relazioni con i cittadini e le aziende. Tradotto in soluzioni concrete: sistemi big data e analytics per erogare nuovi servizi in grado di sfruttare al massimo questa mole di informazioni. Stiamo anche spingendo sulla mobilità degli strumenti a disposizioni dei dipendenti pubblici e dei servizi al cittadino, affinché quest’ultimi siano accessibili sempre e ovunque. Non si tratta solo di passare dalla carta al digitale, ma di ripensare i processi e innalzare l’efficienza complessiva dei sistemi.

Qual è l’impatto di questi investimenti infrastrutturali sui bilanci pubblici in termini di costo e rientro dell’investimento?

Cito un esempio concreto. Hpe ha trasformato 1.800 applicazioni legacy del Miur in soluzioni interamente digitalizzate, che hanno favorito l’introduzione dei nuovi servizi digitali previsti dal decreto Buona scuola e il relativo funzionamento. Grazie a questa operazione, il ministero ha messo a bilancio un risparmio sui costi di 14 milioni, con un ritorno dell’investimento spalmato in 18 mesi e la possibilità di rendere operativi il 30% dei nuovi applicativi in soli 180 giorni.

Se non è una questione di costi, allora cos’è che frena lo sviluppo di una vera cultura digitale anche nella PA?

Bisogna portare l’innovazione all’interno delle amministrazioni pubbliche. Ad esempio, il partenariato pubblico-privato disciplinato dal nuovo Codice degli appalti va in questa direzione, ossia stabilisce regole chiare e trasparenti che permettono alla PA di dotarsi dei nuovi sistemi digitali. Rispetto alla cultura digitale, è necessario sviluppare innanzitutto competenze adeguate e per far ciò Hpe collabora con le scuole e le università per indirizzare la formazione verso le skill richieste dal mercato del lavoro. Abbiamo messo in campo anche progetti per la formazione permanente del personale delle aziende private e delle pubbliche amministrazioni.

Quale parola d’ordine per una strategia vincente di cybersecurity nella PA?

Uno dei pilastri di Hpe è la sicurezza della vita digitale e per garantirla è fondamentale una cultura della sicurezza. La diffusione del digitale e l’aumento di applicazioni e device utilizzati per lavorare, anche nella PA, richiedono oggi una sicurezza dinamica. Servono standard elevati, sistemi accessibili e difendibili anche da remoto, oltre a policy di regolazione dell’accesso e della gestione dei dati sensibili. Ridurre al minimo gli spiragli d’ingresso nei sistemi che trattano dati sensibili è il miglior punto di partenza.

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