In un contesto di perdurante crisi economica, le aziende italiane hanno visto evaporare 9 miliardi di dollari a causa della perdita dei propri dati sensibili negli ultimi 12 mesi. Una cifra che sale a 14,1 miliardi di dollari se si sommano le perdite derivanti dalle interruzioni operative dei sistemi informatici.
A livello mondiale, la cifra derivante dal verificarsi di questi due fattori critici sale a 1,7 trilioni di dollari, l’equivalente di quasi il 50% del Pil tedesco, con perdite di dati aumentate del 400% rispetto al 2012.
Questi i risultati emersi dalla ricerca Emc Global Data Protection Index, condotta da Vanson Bourne, che ha intervistato 3.300 decision maker IT di medie e grandi aziende di 24 Paesi.
In questo contesto in Italia appena il 10% delle aziende può dirsi al passo coi tempi in materia di misure volte alla protezione dei propri dati sensibili. Questa cifra diventa 13% su base globale.
Tutto questo, in uno scenario nazionale in cui l’80% delle aziende intervistate ha registrato – negli ultimi dodici mesi – un blocco inaspettato nei propri sistemi informatici o una perdita di dati sensibili, che hanno portato per il 38% a una perdita della produttività, per il 22% a un decremento del fatturato e per il 36% al ritardo nello sviluppo di un prodotto.
C’è, inoltre, poca fiducia nella capacità delle aziende italiane di ovviare al problema, se è vero che il 79% dei professionisti IT non nutre piena fiducia nella capacità della propria impresa di recuperare le informazioni a seguito di un incidente di questo tipo.
A livello mondiale le tendenze in atto nelle aziende come Big Data, mobile e cloud stanno creando nuove sfide in termini di protezione dei dati. Il 51% delle aziende, infatti, non possiede un piano di disaster recovery per nessuno di questi ambienti e solo il 6% ha definito piani per tutti e tre. Il 62% ha classificato Big Data, mobile e cloud ibridi come ambienti “difficili” da proteggere e, con il 30% di tutti i dati principali residenti in una qualche forma di cloud storage, questo potrebbe condurre a perdite sostanziali.
Nello scacchiere mondiale, la Cina vanta il maggior numero di aziende all’avanguardia in termini di protezione dei dati (30%), mentre in coda si trovano gli Emirati Arabi Uniti (0%). Le aziende molto grandi con oltre 5.000 dipendenti hanno il doppio di possibilità (24%) di trovarsi in una categoria d’avanguardia rispetto alle realtà più piccole con 250-449 dipendenti (12%). Le aziende statunitensi e olandesi sono quelle con i punteggi più elevati al di fuori di Asia-Pacifico e Giappone (20% e 21% rispettivamente).
“In un contesto in cui la crisi economica continua a erodere alle aziende italiane risorse importanti da investire in innovazione – dice Marco Fanizzi, Amministratore Delegato e Direttore Generale di EMC Italia – l’enorme impatto monetario delle interruzioni non pianificate e delle perdite di dati, calcolato in 14,1 miliardi di dollari, rappresenta un pesante fardello in una prospettiva di ritorno alla crescita. In un’economia sempre più digitale, credo che il 10% di aziende al passo coi tempi in materia di protezione dei propri dati sia una cifra da migliorare significativamente. Dal nostro punto di vista, continueremo a mettere in campo tutte le risorse a disposizione per sensibilizzare gli addetti ai lavori su questo importante tema, cruciale per l’economia e per la sostenibilità futura delle imprese”.