SMART WORKING

Lavoro agile: l’industria si prepara per la quarta rivoluzione

Il futuro dei rapporti lavoro-impresa sarà sempre più influenzato dalle tecnologie emergenti: si potrà produrre a distanza, con risparmi evidenti per aziende e lavoratori

Pubblicato il 04 Mar 2016

Dario Banfi

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Il World Economic Forum l’ha chiamata “Quarta Rivoluzione Industriale” e porterà una profonda trasformazione nel panorama del lavoro e delle forze impiegate nell’industria contemporanea. Il futuro sarà sempre più influenzato da tecnologie emergenti: dall’intelligenza artificiale ai sistemi di machine learning, dalla robotica alle nanotecnologie, passando per stampanti 3D e biotecnologie. Il primo fattore socio-economico che guiderà la rivoluzione sarà proprio il cambiamento della natura del lavoro e la sua flessibilità. Le tecnologie portanti: Internet via dispositivi mobili e il Cloud computing. A seguire la crescita della capacità di calcolo dei processori e i Big Data. Sono novità che porteranno prosperità e nuovi posti di lavoro, dice il World Economica Forum, ma porranno anche nuove sfide di adattamento sul fronte del lavoro.

Già oggi per molti white collar lavorare significa non avere più un posto di lavoro inteso come luogo fisico, dentro una catena di produzione, ma ricoprire ruoli e responsabilità all’interno di un team distribuito, che opera a distanza, condividendo progetti o cicli di produzione. Nelle imprese più orientate all’uso delle tecnologie questa logica ha trovato spazio via via nella formula dello smart working. Come l’hanno definito già nel 2008 Capgemini e il CIPD nel celebre studio “Smart working, the impact of work organisation and job design”, lo smart working è un approccio all’organizzazione del lavoro “orientato a generare maggiore efficienza ed efficacia nel raggiungimento dei risultati lavorativi attraverso una combinazione di flessibilità, autonomia e collaborazione, parallelamente all’ottimizzazione degli strumenti e degli ambienti di lavoro per i lavoratori”.

Figli di questo approccio sono i campus tecnologici, le start-up distribuite, i processi delocalizzati, la nascita dei coworking, la diffusione del temporary management e perfino l’affermazione del metodo Agile per i progetti software. L’onda d’urto che ha smosso il mondo del lavoro all’estero è arrivata anche in Italia. A passi lenti, prima nei fatti (tacitamente in deroga alla legge e ai contratti nazionali di categoria), nelle grandi imprese multinazionali e in molte start-up, a partire da quelle Hi-tech, e di recente anche dal punto di vista formale, con il disegno di legge sul Lavoro Agile, licenziato il 21 gennaio dal Consiglio dei ministri.

Il testo, agganciato all’iter parlamentare della Legge di stabilità, definisce il lavoro agile come “una modalità flessibile di lavoro subordinato, che può essere svolto in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno, utilizzando strumenti tecnologici, seguendo gli orari previsti dal contratto di riferimento e prevedendo l’assenza di una postazione fissa durante i periodi di lavoro svolti all’esterno dei locali azienda”. L’obiettivo dichiarato, esteso anche alla PA, è di incrementare la produttività e favorire la conciliazione dei tempi vita-lavoro, conservando agevolazioni fiscali e contributive anche per questa formula d’impiego. Il trattamento economico e normativo previsto è uguale a quello applicato ai lavoratori che svolgono le medesime mansioni in azienda. Uguali livelli di protezione riguardano anche le coperture assicurative e gli aspetti legati alla sicurezza e alla privacy. Come previsto dal DDL licenziato dal Governo (che sarà discusso in parallelo al disegno di Legge d’iniziativa di alcuni senatori, tra i quali Maurizio Sacconi), il datore di lavoro dovrà adottare misure di protezione dei dati utilizzati ed elaborati dal lavoratore e questi dovrà conservare l’integrità degli strumenti tecnologici messi a disposizione.

Al di là delle situazioni già avviate, la previsione di molti è che lo smart working possa finalmente portare benefici a middle manager e impiegati italiani anche delle imprese meno tecnologiche: il testo piace alle associazioni dei direttori del personale e alle rappresentanze di manager e dirigenti. Il disegno di imprinting governativo viene considerato più concreto e attuabile, mentre non poche riserve stanno investendo la formulazione di lavoro agile prevista da Sacconi(applicazione ristretta ai soli lavoratori con redditi sopra i 30mila euro o contratti più lunghi di un anno) e maggiori integrazioni con la contrattazione decentrata e gli Enti di certificazione dei rapporti di lavoro.

Dichiara Stefano Cuzzilla, presidente di Federmanager: “Non possiamo che essere d’accordo con una rivoluzione culturale che favorisca maggiore efficienza in termini di produttività e più elevati livelli di qualità della vita. Sosteniamo l’adozione di modelli di lavoro innovativi e criteri di valutazione basati sui risultati e non sulla presenza. ll Disegno di Legge va valutato positivamente. Potrebbe favorire l’occupazione, in particolare quella femminile, un innalzamento dei livelli di produttività e, contestualmente, anche una contrazione di costi sociali con risparmi considerevoli sia per le aziende sia per il Paese”.

Ricorda Federmanager che in Italia l’utilizzo dello smart working è pari a circa il 2.5% della popolazione dei lavoratori dipendenti, mentre la media europea è dell’8.5% con punte del 20% nel Nord Europa. Anche per Guido Carella, presidente Manageritalia “si tratta di un forte incentivo al cambiamento, che consentirà di passare a un lavoro che preveda un’organizzazione fatta di gestione delle persone per obiettivi, flessibilità, collaborazione, motivazione, work-life balance. Insomma, tutto quanto serve per migliorare la produttività e il benessere di persone e aziende”.

Se da una parte l’intervento normativo toglie ogni alibi alle imprese che hanno tenuto il freno per ragioni di sicurezza e lascia campo aperto alla negoziazione collettiva per recepire ed estendere la formula del lavoro agile, il testo è comunque lontano dalla definizione fornita da Capgemini e dalla filosofia adottata fuori dall’Italia. Il termine “agile” piace comunque all’Accademia della Crusca e tra i vantaggi elencati dal giuslavorista Maurizio Del Conte, che ha curato il DDL ci sono la maggiore soddisfazione dei dipendenti, che possono gestire meglio i tempi di lavoro e l’organizzazione della vita familiare, riducendo i tempi di spostamento casa-lavoro; la riduzione dell’assenteismo; l’aumento della produttività per ora lavorata; la riduzione dei costi energetici, immobiliari e di manutenzione; la riduzione del traffico, dell’inquinamento e dei costi di welfare pubblico destinato all’assistenza famigliare, sia dei minori sia degli anziani.

L’informazione sullo smart working è comunque ancora scarsa: secondo l’ultimo Work Trend Study di Adecco, il 67,7% di chi cerca lavoro in Italia non ne ha mai sentito parlare e così è anche per buona parte dei selezionatori (28%). Chi finora si è esposto di più sul fronte della flessibilità sono sicuramente manager, dirigenti, o figure che non hanno una postazione fissa, come i commerciali. Fuori dalle imprese, invece, è cultura consolidata da anni tra lavoratori professionali autonomi, che hanno di recente trovato nei coworking spazi di aggregazione per lavorare agilmente. Ne esistono oltre 3.000 in Europa e si espandono con grande velocità. In Francia è nato CoHome, il network dei coworking presso il proprio domicilio: ciascun membro può ospitare a casa altri smart worker. Sarà questo il prossimo passo anche per le imprese?

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