La corsa al public cloud in Europa non si ferma. Secondo l’ultimo Worldwide Software and Public Cloud Services Spending Guide di Idc, la spesa per servizi cloud pubblici raggiungerà i 229 miliardi di dollari nel 2025, per poi salire fino a 452 miliardi nel 2029, con un Cagr del 19% nel quinquennio 2024-2029.
A spingere questo trend sono l’adozione massiccia di soluzioni PaaS, l’emergere di casi d’uso concreti legati alla generative AI, la necessità di ristrutturare le architetture IT e l’automazione su larga scala. Secondo Idc, solo il comparto PaaS crescerà del 32% su base annua entro il 2026, diventando uno dei principali abilitatori della nuova cloud economy.
Nonostante questa crescita, il contesto competitivo europeo rimane segnato da uno squilibrio strutturale. I provider americani dominano il mercato, lasciando ai player europei solo il 15% delle quote complessive, secondo gli ultimi dati Synergy Research Group. Una cifra rimasta stabile dal 2022, dopo un lento declino iniziato nel 2017, quando i fornitori locali detenevano quasi il 30% del mercato.
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Il cloud europeo “resiste”, ma è marginale
Tra i principali fornitori di cloud europei troviamo Sap, Deutsche Telekom, OvhCloud, Tim e Orange, tutti con quote limitate, comprese tra l’1 e il 2%. A trainare la crescita dei servizi sono ancora una volta gli hyperscaler americani: Amazon AWS, Microsoft Azure e Google Cloud insieme detengono oltre il 70% del mercato europeo.
Secondo John Dinsdale, chief analyst di Synergy, “il cloud è un gioco di scala, e nessun fornitore europeo è riuscito a soddisfare i requisiti di investimento, visione e operatività per competere seriamente con gli Usa”. Le big americane investono infatti circa 10 miliardi di euro a trimestre in infrastrutture cloud europee, numeri fuori portata per qualsiasi attore continentale.
Ciononostante, le telco europee possono ancora ricavarsi un ruolo strategico: TIM Enterprise, ad esempio, ha siglato un accordo con Oracle per integrare i servizi Oci nel proprio portafoglio. Una partnership che si affianca alla creazione di una seconda regione cloud in Italia, a Torino, pensata per esigenze pubbliche e industriali, anche in ottica di residenza dei dati.
Questi modelli ibridi, che uniscono infrastruttura locale e tecnologie cloud globali, rappresentano un compromesso efficace per coniugare sovranità, interoperabilità e compliance. E possono aprire nuove opportunità anche per gli operatori telco più piccoli, soprattutto se focalizzati su servizi verticali e pubblica amministrazione.
AI, sanità e compliance spingono la domanda
Le dinamiche di spesa evidenziate da Idc confermano che i driver principali sono oggi automazione, AI e cybersecurity. Settori come software, information services e sanità sono in forte espansione. In particolare, il comparto healthcare payer vedrà una crescita del 25% nella spesa cloud nel 2026, trainato dalla crescente domanda di servizi scalabili e sicuri.
Il Regno Unito è un esempio paradigmatico: la crisi del sistema sanitario pubblico (NHS) ha portato milioni di cittadini a scegliere l’assicurazione privata, spingendo gli operatori sanitari a investire in cloud, sicurezza e infrastrutture flessibili.
Anche il settore life sciences mostra dinamismo, grazie agli investimenti in ricerca su terapie avanzate e alla spinta dell’Ue su digitalizzazione e innovazione farmaceutica.
Nel frattempo, la compliance normativa resta un forte incentivo per banche, assicurazioni, enti pubblici e aziende sanitarie. Il cloud si impone così come strumento chiave per garantire tracciabilità, protezione dei dati e auditing, specialmente nei comparti più regolamentati.
Manifattura e telco: il potenziale del cloud verticale
Anche se più prudenti nel breve termine, settori come automotive, beni di consumo e chimica continuano a scommettere sul cloud per modernizzare supply chain e processi produttivi. Per la manifattura, la visibilità in tempo reale, la gestione agile degli inventari e il demand forecasting sono ormai abilitati solo da architetture cloud-native.
Nel contesto italiano, le telco possono diventare protagoniste, proprio perché presidiano già l’infrastruttura critica su cui poggia il cloud: la banda ultralarga (scopri qui le applicazioni innovative). La sinergia tra reti in fibra, edge computing, 5G e PaaS AI-powered potrebbe trasformare gli operatori in partner strategici per la transizione digitale, a cominciare dalle PMI e dai territori a minore densità di servizi.
Anche grazie ai fondi Pnrr, l’Italia è oggi uno dei mercati a più alto tasso di crescita per il cloud in Europa, secondo Synergy. L’investimento in regioni cloud localizzate, come quella di Aws a Milano o di Microsoft nel centro-sud, rafforza questo trend. Ma per sfruttarlo pienamente, è necessario un salto culturale e industriale: non basta usare il cloud, serve progettarci sopra nuovi servizi intelligenti.
Investimenti record delle big tech Usa: la mappa europea
Il dominio statunitense si riflette negli investimenti miliardari annunciati negli ultimi mesi. Oracle ha previsto 3 miliardi di dollari per potenziare le infrastrutture cloud e AI in Germania e Paesi Bassi. Aws investirà 7,8 miliardi di euro nella regione sovrana tedesca (Aws European Sovereign Cloud) e altri 1,2 miliardi nel polo italiano di Milano, focalizzato sull’intelligenza artificiale.
Microsoft, invece, ha annunciato un piano da 4,3 miliardi in due anni per espandere i data center in Italia e formare 1 milione di cittadini entro il 2025. Anche Google Cloud non sta a guardare: un miliardo di dollari andranno a finanziare un nuovo data center nel Regno Unito, a Waltham Cross, in linea con la visione del governo britannico di rafforzare la leadership tecnologica.
In parallelo, le big tech stanno rafforzando collaborazioni con le telco locali, consapevoli del valore delle infrastrutture di prossimità e del ruolo delle telecomunicazioni nella nuova catena del valore digitale. Partnership come Orange–Google, Tim–Oracle, o Deutsche Telekom–Microsoft sono un segnale chiaro: il futuro del cloud è sempre più “ibrido e federato”, anche in Europa.
Sovranità digitale: l’obiettivo possibile (ma serve coraggio)
Il tema della sovranità digitale resta centrale nel dibattito europeo. L’esperienza del cloud Gaia-X, pur con i suoi limiti, ha messo in evidenza una necessità condivisa: l’Europa non può essere solo un consumatore passivo di tecnologia. Deve costruire architetture di fiducia, standard aperti, policy interoperabili e un mercato unico dei dati.
Non sarà facile, ma qualcosa si muove. Progetti come Ipcei Cloud Infrastructure and Services e i bandi su data space europei stanno incentivando la nascita di ecosistemi nazionali (come il Polo Strategico Nazionale in Italia) capaci di offrire alternative competitive ai grandi hyperscaler.
Tuttavia, senza investimenti strutturali e una strategia comune tra telco, industria e PA, il rischio è di consolidare una dipendenza sistemica, che rende vulnerabili le infrastrutture, i dati e la competitività stessa dell’Europa digitale.