Silvio Cretti (Create-Net): “Aziende italiane, più coraggio sul cloud”

Il responsabile divisione Cloud del centro ricerca di Trento: “Non basta virtualizzare le macchine o eliminare i data center: serve sviluppo di software nativo per ottenere tutti i vantaggi”. I colossi americani sono “anni avanti”, ma l’Europa si sta muovendo

Pubblicato il 05 Ago 2016

Patrizia Licata

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Di cloud computing nelle aziende si parla molto: le imprese stanno abbracciando il cambiamento e tra i provider ci sono già dei veri colossi, a partire da Amazon. Eppure al pieno successo delle implementazioni manca ancora un elemento: la piena comprensione di che cosa sia il cloud e, soprattutto, di quello che col cloud si può fare. Ce lo spiega Silvio Cretti, responsabile del gruppo di Cloud Computing del centro di ricerca Create-Net di Trento.

Come nasce dentro Create-Net l’attività di ricerca sul cloud? Alle aziende offrite comunque dei servizi utili alla loro attività commerciale?

Lavorando anche su progetti finanziati dalla Commissione europea abbiamo maturato competenze in ambito cloud, soprattutto per la creazione di soluzioni cloud distribuite e federate a livello europeo. Abbiamo preso parte all’iniziativa pubblico-privata europea FIWARE per l’Internet del Futuro, che offre una piattaforma cloud open source per ospitare applicazioni volte a creare in Europa città e servizi più smart. Noi di Create-Net ci siamo specializzati in particolare in contesto OpenStack, una piattaforma open source e diffusa in tutto il mondo per creare ambienti di cloud computing a livello IaaS, e ora stiamo portando questa nostra esperienza nella realtà imprenditoriale e produttiva italiana. Alle aziende offriamo in concreto sia consulenza che formazione.

Le aziende italiane hanno bisogno di formazione e consulenze sul cloud?

Le aziende sono ovviamente molto interessate oggi a sviluppare su e per una piattaforma cloud; di cloud computing e dei suoi vantaggi si parla molto. Ma molte imprese, soprattutto medio-piccole, possono essere confuse su quale sia l’architettura migliore da adottare per le loro esigenze e potrebbero non possedere le competenze interne necessarie.

Che cosa le aziende non hanno ancora chiaro sul cloud?

Se si vuole sfruttare davvero l’innovatività del cloud, ottenendo i vantaggi di scalabilità (avere a disposizione risorse virtualmente infinite e on-demand), elasticità, resilienza e, perché no, risparmio economico, non basta virtualizzare le macchine o eliminare il data center fisico. Il cloud è una rivoluzione software: occorre seguire precisi schemi di design e sviluppo di programmi e applicazioni. Per questo ci stiamo preparando a fornire servizi di consulenza oltre il livello IaaS per aiutare le aziende anche nell’utilizzo del cloud a livello applicativo, visto che questo richiede un modello di sviluppo software diverso dal tradizionale. La domanda da parte delle imprese è alta.

Secondo lei ci sono vantaggi del cloud non pienamente percepiti?

Sì, per esempio quello del self provisioning, che permette di gestire o crearsi da soli nuove risorse e di pagare solo per l’effettivo utilizzo: di qui anche i grandi risparmi economici. Oppure la tolleranza ai guasti: se in un’applicazione cloud-based c’è un malfunzionamento o un crash, il servizio viene riavviato automaticamente: occorre però seguire determinati paradigmi nello sviluppo del software. Le aziende tendono ancora a sviluppare il software in modo legacy e tentano poi di adattarlo al paradigma cloud: invece, il software per il cloud deve essere di per sé cloud-oriented e sviluppato nativamente per il cloud.

Quali aziende possono beneficiare della migrazione verso il cloud?

Ne beneficiano tutte ma l’adozione non è omogenea. La PA ne trarrebbe grandi vantaggi ma l’adozione è ancora parziale. Le grandi aziende si sono mosse con maggiore consapevolezza verso il paradigma del cloud computing, mentre nelle pmi prevale qualche forma di resistenza, anche se notiamo un incremento di interesse dalle tante richieste di consulenza e training che riceviamo.

Che cosa si teme, la perdita dei dati?

La sicurezza dei dati è la prima preoccupazione, ma pesano anche il fattore culturale, la paura di abbandonare il vecchio per il nuovo, e la necessità di uno sforzo formativo. I timori per l’integrità e la riservatezza dei dati sono comprensibili, ma l’Italia e l’Europa hanno norme e tutele e in più non è detto che il cloud debba sempre essere solo pubblico: per i dati sensibili si può optare per la soluzione ibrida, così da tenere le informazioni strategiche sul cloud privato.

Lei citava il lavoro per il cloud europeo di FIWARE. Siamo pronti per sfidare Amazon, Microsoft e Google che dominano il mercato?

Ci sono piattaforme basate sull’open source che stanno nascendo ovunque nel mondo, anche con offerte commerciali, e anche in Italia. Stiamo quindi andando avanti, ma per ora le americane, e soprattutto Amazon, sono anni avanti rispetto a tutti gli altri provider del cloud e non sarà facile scalzarli dalla posizione dominante. A meno di non dare al mercato qualcosa di più o di diverso: FIWARE si muove proprio così, offrendo non solo servizi cloud ma anche opportunità per le pmi di sviluppare le proprie idee innovative, offrendo una piattaforma software open source. Non c’è solo il cloud: c’è tutta l’Internet del Futuro che si prefigge di innovare gli scenari commerciali (la gestione dei servizi ai cittadini in una smart city, la sicurezza, la mobilità, ecc.) attraverso l’adozione e il perfezionamento di tecnologie Internet. Ci sarà bisogno non solo di cloud ma in generale di infrastrutture Ict dinamiche e flessibili: le opportunità non mancano.

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