Collaborative mapping, Napolitano: “Le PA aprano i dati”

Il tecnologo della fondazione Bruno Kessler: “Così si consentirebbe il fiorire di una serie di applicazioni innovative pensate per il web e per il mobile”

Pubblicato il 09 Apr 2015

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Maurizio Napolitano, tecnologo di Fondazione Bruno Kessler e ambasciatore della Open Knowledge Foundation, è uno degli evangelizzatori di OpenStreetMap in Italia.
Perché si è appassionato alle mappe condivise?
Da piccolo sognavo di fare l’esploratore, ma ero anche appassionato di digitale. Le mappe avevano un gran fascino. Nel corso degli anni ho scelto di studiare sociologia, ma ho imparato l’informatica frequentando il mondo underground della rete.Sono entrato così in contatto con la cultura hacker. Quando ho dovuto lavorare con le tecnologie Gis (geographical information systems) ho preso confidenza con i dati e a scoprire tutte le situazioni tragicomiche italiane su questo tema.
Tragicomiche?
Per citarne una scoprii che se volevo dati sull’Europa era più semplice scaricarli sui server in Usa, nazione che impone che tutti i dati e il software prodotto dalla PA siano di pubblico dominio. Cercavo negli archivi per trovare qualche dato, per la maggior parte raccolto per questioni militari, perché ero sicuro che fosse riusabile. Quando conobbi OpenStreetMap me ne innamorai: progetto aperto di raccolta di dati geografici nato nella comunità hacker. Ero un bimbo in un negozio di caramelle.
Ce ne spiega pregi e difetti?
Possono essere diversi, ma i contro spariscono se il livello di precisione è sufficiente e il numero di persone che partecipano alla raccolta dei dati è alto. Nell’articolo “La cattedrale e il bazaar” di Eric Raymond si enuncia la legge di Linus (Torvald): “Dato un numero sufficiente di occhi, tutti i bachi vengono a galla”. Per questo , fra i progetti di mapping collaborativo, almeno per creare una cartografia di base, preferisco OpenStreetMap a cui, oggi, collaborano oltre 2milioni di persone.
Cosa dovrebbe scegliere un’istituzione?
Un’istituzione pubblica dovrebbe cominciare a rendere disponibili i propri dati e, ancora meglio, le proprie mappe. Questo spingerebbe i vari progetti di mappe online a impegnarsi per integrarli.
Quando non si hanno dati o mappe, invece, occorre ragionare sui termini d’utilizzo. L’efficienza di Google Maps non è tanto nei contenuti, ma nel servizio di geocoder, che, a partire da una toponimo come un numero civico, restituisce le coordinate e la relativa mappa. Usando le tecnologie di Google, gestisce al meglio disambiguazioni del testo. Ma questo non esclude errori a volte dovuti semplicemente al mancato aggiornamento dei dati.
Questo non avviene per OSM?
OpenStreetMap si presenta più apertoe neutrale. Ciò permette ad esempio il fiorire di applicazioni innovative per web o per mobile. Maposmatic.org ad esempio permette a chiunque di costruire una mappa corredata di uno stradario. Gli esempi sono tanti. Sono dell’idea che qualsiasi cosa vada imparata e capita. Quando si capisce il valore sociale di OpenStreetMap si comincia a sorprendersi, ci si innamora e si comincia a contribuire.
Il collaborative mapping può essere un business?
Ci sono diverse Pmi che ne hanno capito il vantaggio. Mi capita sempre più spesso di vedere infografiche o volantini che usano OpenStreetMap. Ci sono poi diversi progetti sia di ricerca che di startup che hanno cominciato ad usare OpenStreetMap. Non mancano, infine, le PA che stanno vedendo in questa piattaforma non solo un ottimo strumento per avere mappe aggiornante, ma anche un sistema per comunicare con il territorio. Il Piemonte Visual Contest organizzato dal Consiglio Regionale del Piemonte si è concentrato su questo: stimolare il riuso di OpenStreetMap. Dopo Pasqua saranno noti i risultati. Certo, negli Stati Uniti ci sono realtà come Mapbox o CartoDB che invece ne stanno facendo un largo uso e ne hanno trovato una ottima soluzione per i loro mercati. È ancora un percorso lungo, ma si stanno vedendo risultati.

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