Colli Franzone: “La Cie non serve, l’hanno uccisa gli smartphone”

Parla il responsabile scientifico dell’Osservatorio Netics: “Oggi l’utente chiede di accedere via mobile, la PA deve stare al passo”. E avverte: “Piuttosto il governo dimezzi i tempi di realizzazione dell’anagrafe unica”

Pubblicato il 07 Gen 2016

Federica Meta

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“Una smart card come strumento di accesso ai servizi della PA nel 2017? Faccio fatica a credere che funzioni”. Paolo Colli Franzone, responsabile scientifico dell’Osservatorio Netics e tecnologo, boccia il rilancio della carta di identità elettronica (Cie) previsto dal dl enti locali e pubblicato nei giorni scorsi in Gazzetta Ufficiale.

Cosa non la convince?

Siamo nell’era del mobile: l’utente chiede di accedere ai servizi tramite smartphone. Le banche utilizzano le impronte digitali come strumento chiave per le prestazioni online. In un modo così fatto semplicemente la carta di identità elettronica è anacronistica.

Progetto da buttare al macero, dunque?

Non azzarderei ad arrivare a tanto. Chiariamo un punto: la Cie fu pensata quasi 20 anni fa come strumento di polizia. Serviva cioè a rendere più efficace l’identificazione del cittadino ed arginare il fenomeno delle falsificazione dei documenti. Se la si vuole sfruttare ancora per fare quelle cose lì, allora può ancora avere un senso.

Non crede che su quella smart card possano viaggiare i servizi?

Non più. Il governo ha ben chiara che la strada da seguire è quella dell’anagrafe unica, dell’identità digitale- Spid e di Italia Login. E credo che lo abbiano ben chiaro in mente anche i Comuni.

Comunque la Cie è di nuovo legge. Che ostacoli possono trovare i Comuni sulla strada dell’execution?

I problemi sono di due tipi, economico e – diciamo – di gestione del dato. Sul fronte economico si rischia che le PA, soprattutto quelle piccole, non abbiamo risorse adeguate per comprare le nuove stampanti: ricordo che i Comuni non si possono mettere insieme per acquistarne una. Si verrebbe a creare un notevole divario.

Invece sul fronte gestione del dato, cosa potrebbe accadere?

I Comuni dovranno far migrare i dati sull’Anagrafe Unica della popolazione residente (Anpr), un processo lungo e complesso nel quale si stanno rilevando non pochi problemi di armonizzazione e normalizzazione delle informazioni.

Che significa?

Che i Comuni saranno perlopiù impegnati in queste operazioni – ci vorranno due anni, almeno per le PA più grandi – e pensare di rilasciare la “nuova” Cie senza prima aver terminato questo processo non serve a nulla. Il vero tema è accelerare su Anpr rendendo più facile la vita alle amministrazioni.

In che modo?

Il governo potrebbe dire ai Comuni: io sosterrò economicamente la migrazione ad Anpr, però l’anagrafe unica dovrà essere completata non i due anni ma in sei mesi. Questa accelerazione avvantaggerebbe anche i provider di Spid che sarebbero più tranquilli se sapessero di poter rilasciare pin avendo alle spalle un’anagrafe forte e ben strutturata.

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