Copyright, la sentenza Ue riconosce i diritti delle Internet company

La decisione della Corte nella causa Sabam-Scarlet chiarisce che l’obiettivo della tutela del diritto d’autore in rete non può essere perseguito a prezzo di sacrifici economici sproporzionati e irragionevoli da parte dei provider. L’auspicio è che questa posizione trovi conferma nel regolamento in corso di emanazione da parte delle istituzioni comunitarie

Pubblicato il 29 Nov 2011

La decisione della Corte nella causa Sabam-Scarlet contribuisce a
fissare delle fondamentali coordinate nell’agitato mare della
proprietà intellettuale nell’era della società
dell’informazione.

Finalmente la Corte va oltre Promusicae (nella quale veniva
affermato il primato del diritto al rispetto della vita privata
dell’internauta) e chiarisce che la tutela del diritto d’autore
in rete non può prescindere da una seria e ragionevole
considerazione dei diritti fondamentali – non solo degli utenti,
ma anche – delle imprese del settore e segnatamente degli
operatori di Internet.

L’obiettivo della tutela del diritto d’autore e della
repressione dei relativi illeciti, quindi, non può esser
perseguito a prezzo di sacrifici economici sproporzionati ed
irragionevoli imposti agli internet provider. Una diversa
impostazione sarebbe incompatibile con la Carta dei Diritti
Fondamentali dell’Unione Europea, fra i quali la libertà
d’impresa.

Mi sembra un chiarimento assai opportuno in questo momento storico
molto particolare, nel quale la giurisprudenza ha in alcune
occasioni ecceduto in un’impostazione ipergarantista in favore
dei right owners sottoponendo – a volte anche solo
surrettiziamente – le imprese di settore allo spettro della
responsabilità oggettiva o dell’obbligo generale di
vigilanza.

L’auspicio è che l’orientamento emerso nella sentenza (e che
appare in linea con quello più recente dell’Agcom) sia sintomo
della valutazione del fenomeno da parte delle Istituzioni
Comunitarie e trovi a breve conferma nel regolamento sul diritto
d’autore in rete in corso di emanazione.

D’altronde non può trascurarsi che in un momento di stallo (se
non di recessione) dei mercati, il solo settore destinato
verosimilmente a crescere è quello dell’“economia digitale”
che in Italia vale ad oggi – secondo recenti stime – l’1,7%
del Pil e che, in ottica di riallineamento allo standard europeo,
ha ancora diversi punti da recuperare (in Paesi come la Svezia pesa
il 6,3%).

Legittimare l’imposizione di nuovi lacci e lacciuoli (non solo
normativi o burocratici, ma addirittura tecnici ed economici)
avrebbe avuto l’effetto di tarpare le ali a questo potenziale ed
irrinunciabile sviluppo.

Con la decisione della Corte, inoltre, sembrano per il momento
stornati i rischi connessi alla diffusione di massa dei sistemi di
filtraggio e di monitoraggio, a più riprese paventati dalle telco
e dagli utenti: da un lato (per ragioni eminentemente tecniche) il
rallentamento della fluidità della Rete, che già non brilla per
larghezza di banda in molti Paesi dell’Unione (fra cui
segnatamente il nostro), dall’altro (e non solo per ragioni
tecniche) una conseguente drastica riduzione del traffico internet.

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