CONNECTED CAR

Da VisLab a Octotelematics: se l’Italia arriva prima di Google

Smart car: nello spinoff dell’Università di Parma, appena comprata da un’azienda della Silicon Valley, si studia l’auto connessa già dagli anni ’90. Il clear box della romana Octotelematics viene venduto in tutto il mondo per il sistema che permette la profilazione dell’automobilista

Pubblicato il 10 Feb 2016

Deborah Appolloni

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L’Italia su alcuni fronti è riuscita ad arrivare anche prima di Google o Apple. E’ il caso di VisLab, lo spin off dell’Università di Parma, intercettato dalla Silicon Valley e acquistato per 30 milioni di euro pochi mesi fa da Ambarella, un’azienda di hardware della costa occidentale degli States. A Parma, dove l’azienda è rimasta anche dopo l’acquisizione, Alberto Broggi, il fondatore, e un’altra trentina di ricercatori (assunti a tempo indeterminato dopo l’arrivo degli americani) studiano fin dagli anni ’90, molto prima della nascita di Google, il veicolo connesso e l’auto a guida automatizzata: nel 2010 un convoglio di furgoncini Porter Piaggio computerizzati ed automatizzati è partito da Milano per raggiungere Shanghai. Due anni fa, Broggi ha ottenuto anche di testare i suoi veicoli (una versione anche più economica della Google car) nelle strade cittadine, “ma ci vogliono ancora almeno 15 anni – ammette il professore – per vedere veramente il futuro sulle strade. Le previsioni sono molto difficili da fare per una serie di problemi che dobbiamo risolvere sull’etica del veicolo. Forse per la prima volta nella storia dell’umanità ci troviamo di fronte un oggetto che prende decisione che coinvolgono la vita umana”. E proprio su questo punto la ricerca del centro d’eccellenza parmense va avanti dopo la discesa della Silicon Valley. “Attualmente – ammette Broggi – stiamo studiando tecniche di visione artificiale. Sappiamo che Google sta utilizzando i laser, noi invece puntiamo sui sensori che hanno un costo più basso, ma con telecamere piccolissime sono in grado di interagire con il dato e far capire al veicolo che cosa c’è nell’immagine”.

Un’altra eccellenza made in Italy, ormai esportata in tutto il mondo, è quella di Octotelematics, l’azienda fondata nel 2002 a Roma dall’attuale Ceo, Fabio Sbianchi, leader nella insurance telematics. Uno sviluppo rapidissimo che ha portato la realtà romana a diventare una multinazionale con sedi in moltissimi paesi europei e negli Usa, controllata dal 2014 dai russi di Renova Group. “La grande intuizione della Octotelamatics – spiega Tina Martino, Head of Value Proposition and Octo Offering – è stata quella di sfruttare la clear box per la profilazione dell’utente/automobilista. Il flusso dei big data generati dalle auto vengono elaborati da un algoritmo messo a in grado di fornire informazioni preziose alle compagnie assicurative, frenando anche il ricorso a illeciti e frodi”. Ma non solo. Il flusso dei car data – proveniente da circa 4 milioni di veicoli equipaggiati con le Ubi di Octotelematics in tutto il mondo – va ad alimentare anche altro, come per esempio le informazioni sul traffico che l’azienda elabora per Infoblu, il servizio di Autostrade per l’Italia. Inoltre, la multinazionale esplora altre aree che vanno da accordi specifici con produttori di auto (si veda anche l’articolo principale) alla gestione-localizzazione delle flotte nel car rental. Punta invece sul car sharing Targa Telematics, tra le realtà più innovative dell’Internet of cars italiano. L’azienda guidata da Nicola De Mattia, che oggi gestisce circa 120mila dispositivi, è attiva fin dagli anni ’80, con una forte specializzazione nel web mapping: nel 2005 ha acquisito Targa Infomobility da Fiat, diventando un punto di riferimento per i servizi telematici nel mercato “automotive”. Oggi il prodotto di punta è una piattaforma di car sharing che abilita nuovi servizi di mobilità sia per aziende che per fornitori di servizi per il cittadino. La piattaforma permette il corretto dimensionamento della flotta, la gestione efficiente della manutenzione ordinaria e straordinaria, la configurazione delle fasi di prenotazione, l’assegnazione e le politiche di utilizzo (rifornimenti, aree permesse, aree proibite).

Ma il mercato sente bisogno di regole, protocolli e standard condivisi. Su questo sta lavorando Tsp, l’associazione a cui fanno riferimento i maggiori service providers che operano in Italia, che sta esplorando le due aree di maggiore sviluppo della connected car: l’insurance telematics e l’eCall. “Siamo molto attivi sul capitolo dei servizi assicurativi – racconta il presidente Sergio Tusa – cercando di rendere più fluida la situazione attuale”. In altre parole, attualmente ogni black box si affida a un service provider in base ad accordi con le compagnie assicurative con il risultato che in caso di passaggio tra una compagnia all’altra anche il dispositivo deve essere rimosso dall’auto e sostituito. “Una situazione paradossale – continua Tusa – che può essere superata con l’individuazione di standard unici, ma imposti per legge”. L’associazione che ha sede a Torino sta anche lavorando in vista dell’introduzione dell’eCall, il sistema di allarme voluto dall’Ue. “Ci stiamo muovendo – dice Tusa – per creare un private eCall in collegamento con la Areu, la centrale operativa lombarda, l’unica in grado di rispondere e smistare le chiamate a livello locale. Un modo per sperimentare i protocolli attivi e prepararsi all’arrivo dell’eCall nazionale”.

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