SENTIERI DEL VIDEO

Dalla finanza alla moda: è tutto gamification

Le caratteristiche proprie del gioco si espandono alle esperienze e ai paradigmi culturali, strati e situazioni sociali convenzionalmente ritenuti esterni ad esso

Pubblicato il 29 Ott 2012

Enrico Menduni, Professore di Media e Comunicazione all’Università Roma Tre

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Nonostante la crisi il gioco cresce ancora. I tempi di lavoro e di vita si stanno inesorabilmente intrecciando, superando la storica divisione tra loro a cui ci aveva abituato il Novecento, e il confine tra il gioco e la realtà si sta ridefinendo in forme inattese. Un “casual game” anche un po’ stupidino che si gioca sullo smartphone e tende a riempire ogni spazio vuoto del vivere contemporaneo, come Angry Birds, ha avuto oltre 500 milioni di download in cinque anni. L’industria dei videogiochi cresce del 9% all’anno ed è il settore più performante nell’industria dell’intrattenimento. Spunti che attingo alla rivista online “Game” (http://www.gamejournal.it/issues/index-game-n-1-2012/#.UH7Xy44Y0x8) e che mostrano come il gioco cominci a tracimare dai suoi confini, e diventi uno stile della contemporaneità. Uno stile semi-ludico.


Facciamo l’esempio dei cosiddetti “flash mobs”. A Roma il sindaco Alemanno ha avuto l’idea opinabile di vietare il consumo dei cibi per strada. Grazie alla pervasività dei social network vari appassionati hanno rapidamente organizzato una grande mangiata di pizza per strada, davanti al Campidoglio. Rapida nell’organizzarsi, rapida come svolgimento: 35 minuti. Questo è un flash mob. Grande presenza di media e telecamere, solerti vigili urbani che hanno multato tutti, straordinaria visibilità crossmediale e parziale marcia indietro di Alemanno. Come si vede, uno stile ironico e giocoso che contamina anche l’azione politica e di protesta. Mi dice un anziano militante: “Dei mille motivi per protestare contro Alemanno hanno scelto il più stupido.” Ovviamente il più stupido è lui, che dovrebbe spiegarci perché le altre proteste per i mille motivi di cui parla non avvengano, e questa sì.
Il perché va ricercato nella “gamification”: e cioè l’espansione delle esperienze e delle caratteristiche proprie del gioco a paradigmi culturali, strati e situazioni sociali convenzionalmente ritenuti esterni ad esso. Il flashmob in Campidoglio era in parte un’azione di protesta, ma anche un happening, una forma ironica di divertimento e un’occasione per fare qualcosa di diverso dal solito.


La politica, il commercio, la finanza, la salute, l’arte, la moda devono, per avere successo, stabilire un legame con l’intrattenimento e, al suo interno, con il gioco. Presentandosi in forma semi-ludica, come gli enfant terribles che sono i padroni dei social network (Mark Zuckerberg insegna), oppure certe icone pop. Chi non lo capisce esce di scena e va a casa. Anche in politica?

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