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Data export fra Ue e Usa. E’ tutt’oro quel che luccica?

Il Privacy Shield potrebbe non essere sufficiente a garantire la privacy dei cittadini. Ecco alcuni spunti di riflessione. La rubrica di Guido Scorza

Pubblicato il 03 Giu 2016

Giudo Scorza, avvocato esperto di diritto internet

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Il c.d. Privacy Shield, il nuovo accordo negoziato tra Commissione europea e Stati Uniti d’America per sostituire il vecchio Safe Harbour annullato, lo scorso sei ottobre, dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea non sembra sufficiente a garantire, per davvero, la privacy dei cittadini europei quando i loro dati personali vengono trasferiti oltre-oceano.

E’ questa la sintesi della risoluzione approvata lo scorso 26 maggio dal Parlamento europeo.

Un altro invito alla riflessione – tenuto conto che la risoluzione non ha efficacia vincolante – dopo quello arrivato dal Gruppo ex art. 29 dei Garanti privacy europei, alla Commissione europea e, soprattutto, un altro invito a ritornare al tavolo dei negoziati con gli USA e ottenere, per la privacy dei cittadini europei, maggiori garanzie, più solide e più effettive.

Al Parlamento europeo non è chiara la portata delle “lettere di impegno” indirizzate dagli USA alla Commissione europea nell’ambito del pacchetto Privacy Shield e, soprattutto, non sembra che tali impegni – più o meno solidi che siano sotto il profilo formale – siano effettivamente idonei a garantire che i dati dei cittadini europei non saranno più oggetto di operazioni di pesca a strascico come quelle denunciate da Edward Snowden né ad assicurare ai cittadini europei effettivi strumenti di ricorso contro l’amministrazione americana.

Così non ci siamo. Per noi non è abbastanza.

E’ questo nella sostanza il messaggio che attraverso la risoluzione il Parlamento europeo ha recapitato alla Commissione.

La vicenda, dunque, si complica perché ora la Commissione si ritrova a dover decidere cosa fare: andare per la sua strada ed ignorare gli altolà lanciati dai garanti privacy europei e dal Parlamento o provare davvero a chiedere al Governo di Barack Obama di più.

Quel che è certo è che ad oltre sei mesi dallo stop almeno formalmente imposto dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea al trasferimento dei dati personali negli Stati Uniti d’America, non si vede ancora la luce in fondo al tunnel e la situazione si avvia a divenire insostenibile perché l’incertezza delle regole minaccia di frenare e rallentare business e progetti basati proprio sul trasferimento dei dati personali transoceanico.

E non basta.

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