L'INTERVENTO

Data tracing, modello coreano o cinese? No, serve una via italiana

L’elevato livello di garanzie accordate da tecnologie votate all’uso dei synthetic data può rappresentare la chiave per sperimentare tecniche e tecnologie capaci persino di innalzare i livelli di tutela. L’analisi dell’avvocato Rocco Panetta

Pubblicato il 27 Mar 2020

Rocco Panetta

avvocato, Panetta & Associati e IAPP Country Leader per l’Italia

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Molto finora è stato scritto con riferimento alla crisi di sistema più grande, profonda ed inedita della storia contemporanea, che sta interessando, in maniera pandemica, tutte le nazioni ed i popoli della Terra, con drammatiche conseguenze, dagli esiti ancora sconosciuti. Scenari degni di film apocalittici firmati Marvel, con la differenza che noi in realtà non abbiamo né Iron Man né i Fantastici4 a prendersi cura di noi ed a garantire la salvezza finale dell’umanità di fronte al nemico sconosciuto.

Dalla lezione della Marvel possiamo però trarre diffusi insegnamenti che ci mostrano come di fronte a simili emergenze possiamo solo affidarci a due consolidate ed abituali strade, quella scientifica e tecnologica, da un lato, e quella istituzionale e giuridica dall’altra. Queste due strade sono state imboccate nel corso della storia centinaia di volte ed hanno sempre fatto, assieme, la differenza. Ma non sempre l’umanità ne è uscita vincente.

Scienza e regole, tecnologia e diritto, possono fare sempre la differenza per il bene dell’uomo solo se pervase da regole etiche degne di questo nome ossia volte a tutelare la dignità degli individui, tutti, nessuno escluso. Evitando dunque nell’adozione di misure ed azioni anche eccezionali, per combattere il comune nemico, di dimenticare che il bene supremo della salute e della vita appartengono al novero dei diritti e delle libertà fondamentali. Diritti naturali che tuttavia non sempre ed ovunque sono riconosciuti e comunque mai ovunque allo stesso modo.

Nulla è scontato per l’uomo. Questo la storia ci insegna da sempre. La società è di volta in volta figlia di conquiste umane, a volte straordinarie, e di altrettanto repentine regressioni, economiche, sociali, geopolitiche, e quasi sempre sono le libertà ad essere sacrificate sull’onda dell’emergenza. Oggi ci troviamo di fronte ad un analogo scenario. Ma siamo più maturi. Ne sono convinto. Le vicende drammatiche che si sono consumate nel ventennio fascista e che sono culminate con la Seconda Guerra mondiale, hanno infuso una buona dose di anticorpi in Italia ed in Europa, che ha portato alla adozione della Costituzione Repubblicana, prima, e al Trattato di Roma e di Lisbona, poi. E di conseguenza tutte le leggi che da esse hanno preso le mosse, sono intrise da profondo rispetto per i diritti e le libertà degli individui.

La guardia deve restare però alta e dunque grazie mille volte al Presidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, Antonello Soro, per il suo saggio continuo posizionamento a favore dell’uso proporzionato, temporaneo, specifico e responsabile della tecnologia, anche di quella più sensibile, per tracciare e contenere il contagio da Covid-19, nel pieno rispetto della Costituzione, del Gdpr e del Codice Privacy. La Costituzione della Repubblica Italiana, le fonti nazionali ed internazionali che sanciscono e regolano le forme e i limiti dell’esercizio dei diritti in capo ad ogni individuo, oggi sono sottoposte ad una prova importante. Altrove ho scritto in queste ore che siamo di fronte al primo vero stress test del nostro ordinamento.

Le Istituzioni italiane stanno affrontando, di pari passo con l’evoluzione del quadro sanitario del Paese, il tema del controllo dei contagi e, quindi, della diffusione del virus che ha nel contatto tra individui il suo principale veicolo. Interazioni sociali, spostamenti sul territorio, utilizzo dei servizi essenziali e svolgimento della propria attività lavorativa, sono i quattro principali parametri che delimitano il recinto entro cui i cittadini possono svolgere le proprie attività quotidiane in tempo di misure di mitigazione dei rischi di contagio.

Il monitoraggio tramite le nuove tecnologie va incoraggiato e favorito, dato che può incrementare di gran lunga la capacità di perimetrare adeguatamente le zone del contagio, ma quali sono gli elementi da considerare? Senza ombra di dubbio la nozione popolare di privacy rischia di essere seppellita dalle impellenti necessità di salvaguardare la salute pubblica. Ma anche da un punto di vista giuridico, in punto di bilanciamento di diritti, interessi e libertà, la tutela diffusa del diritto alla salute di tutti prevale, nel frangente, sul resto. Ma l’analisi, neanche quella giornalistica, o peggio da strada, può fermarsi qui, in quanto il rischio di minare talune libertà a favore di altre è alto. Ecco perché è importante sottolineare che l’extraordinem dovuto allo stato di emergenza deve avere durata temporanea e di conseguenza qualsiasi utilizzo di tecnologie per il monitoraggio dei cittadini debba essere normato da una legislazione speciale e circoscritta al termine dello stato di necessità e che delinei senza alcun margine interpretativo gli scopi di questo utilizzo.

E’ però opportuno stigmatizzare e denunciare ogni tentativo di strumentalizzare la tutela della privacy come ostacolo all’uso della tecnologia per contrastare il contagio. Pensavo fossero lontani i tempi in cui si imputava alla prima legge sulla privacy, la timida l.675/96, la responsabilità di aver progressivamente depresso negli anni il Pil nazionale. Ed invece sono giorni che sull’onda emotiva della tragedia che stiamo vivendo non mancano continue dichiarazioni di personaggi, anche con responsabilità pubbliche rilevanti, che non fanno altro che reiterare appelli alla “sospensione” o addirittura alla “cancellazione” delle leggi sulla cosiddetta privacy.

Contrapporre diritti fondamentali che nel nostro ordinamento sono elastici e temporaneamente comprimibili, tanto ai sensi della Costituzione, quanto a mente di tutte le norme europee e nazionali di implementazione, è frutto di profonda ignoranza o grave malafede. In entrambi i casi, tali posizioni, soprattutto se espresse da rappresentanti della politica, delle istituzioni o del mondo scientifico, sono estremamente pericolose perché generano un vergognoso “proselitismo di gregge”, tanto per usare un’espressione di moda in questi giorni. Esse vanno rigettate in toto, in quanto prive di cittadinanza nel nostro Paese e foriere di massimalismi velleitari e pericolosi per la democrazia.

La tutela della privacy, dunque, non scompare e non deve scomparire e di questo il nostro legislatore sembra avere piena contezza e se ne facciano una ragione tutti coloro i quali la pensano diversamente. Non tutto è sempre opinabile, soprattutto in momenti come questi. Provo rispetto per quanti in prima fila nella battaglia, sotto stress emotivo e fisico, si lasciano andare a tali errate e pericolose considerazioni, ma occorre, fuori da tali contingenze, essere fermi a condannare tali posizioni che cercano nella privacy un improbabile capro espiatorio a cui additare colpe proprie o da rinvenirsi palesemente altrove.

Peraltro, tra le disposizioni emanate per far fronte al contesto emergenziale spicca il dettato dall’art. 14 del D.L. 14/2020. Una norma che sancisce, con una certa chiarezza espositiva, quello può definirsi il “regime” della protezione dei dati personali al tempo del Covid-19. Non a caso ho voluto profittare del significato profondo della parola “regime”, un concentrato terminologico di spinte e regole in equilibro tra loro. Perché, e non occorre ancora ribadirlo, la privacy non è un ostacolo e non scompare. È ben vero, infatti, che il citato articolo ha trovato clamore giuridico, operativo e mediatico per le eccezioni che dispone (le regole ad hoc dettate dal comma primo, lo sfilarsi dagli ordinari limiti alla comunicazione a terzi di cui al comma secondo, le deroghe alle istruzioni da dare agli incaricati del trattamento e alle informative da rendere agli interessanti di cui ai commi quarto e quinto).

E tuttavia c’è anche un terzo comma, semplice e diretto, per i fautori dei giudizi affrettati forse una mera clausola di stile, invece è davvero tutt’altro: “I trattamenti di dati personali di cui ai commi 1 e 2 sono effettuati nel rispetto dei principi di cui all’articolo 5 del citato regolamento (UE) 2016/679, adottando misure appropriate a tutela dei diritti e delle libertà degli interessati”. Si tratta della dimostrazione testuale che la protezione dei dati personali è viva e deve essere rispettata nella sua massima essenza, quella dei principi generali del Gdpr. Ma di più la norma, richiedendo misure “appropriate” a tutela dei diritti e delle libertà degli interessati, dimostra che la protezione dei dati è chiamata ad agire proattivamente.

Piegando il tono del discorso ad un certo pragmatismo, stiamo parlando di un’opportunità. Una parola che, nel dramma dell’emergenza, ho sentito più volte risuonare. Spesso come un antidoto al pessimismo, in altri casi come l’indizio di una fenice pronta a rinascere dalle proprie ceneri. Così il mondo del lavoro ha “scoperto” (le virgolette sono, purtroppo, d’obbligo) l’efficienza e la concretezza del “lavoro agile”, non più considerato la solita “americanata”, né tantomeno un semplice slogan. Personalmente credo sia ormai difficile immaginarsi un futuro senza. Allo stesso modo le Pubbliche Amministrazioni, nel dramma, si sono scoperte agili e digitali. Il mondo del commercio tradizionale di beni e servizi, dal canto suo, ha spalancato le porte alla digitalizzazione e a forme di distribuzione sempre più diffuse, per fronteggiare l’emergenza, ma al tempo stesso finendo per muovere il primo step verso un possibile futuro del business, ancorchè al momento è proprio il commercio elettronico a subire rallentamenti e blocchi nella filiera distributiva. Le famiglie, infine, hanno riscoperto casa, condivisione, comunione: uniti ce la faremo è il mantra, d’ora in poi saremo più uniti è la postilla inattesa.

Anche i diritti fondamentali, e tra essi la privacy, sono chiamati ad adattarsi al nuovo mondo e a trovare misure “appropriate”. Ciò vale anche per la tecnologia applicata al contrasto dell’epidemia, anche in Italia: lo confermano le call aperte negli scorsi giorni dal Ministero dell’Innovazione e Digitalizzazione, con il Ministero della Salute, l’Istituto Superiore di Sanità e la World Health Organization, prendendo sempre più in considerazione il possibile utilizzo di app di tracking e geo localizzazione.

Ed ecco che tale opportunità diventa fonte di grande responsabilità. Se infatti, il principio della privacy by design sembra aver attecchito nelle dinamiche aziendali, grazie ai massicci investimenti fatti dalle stesse negli ultimi due anni, a seguito del Gdpr, lo stesso non può dirsi per il fratello siamese della privacy by default. Quale migliore contesto di applicazione di entrambi i principi, allora, se non quello della costruzione, ex novo e immediata, di misure operative e tecnologiche di contrasto all’epidemia? Uno strumento dalle grandi potenzialità a cui finora è stata riservata ben poca luce potrebbe trovare, nell’emergenza, la propria primavera, diventando per il futuro un nuovo faro di tutela ed un nuovo modus operandi.

Ma la responsabilità che ci deve guidare in codesta tragica situazione potrebbe e dovrebbe spingerci oltre, più in là, verso lidi meno comunemente esplorati. Potrebbe, ad esempio, permetterci di prendere in considerazione l’elevato livello di garanzie accordate da tecnologie votate all’uso dei synthetic data, invece che dei dati personali o approcci, come quello della privacy differenziale, che nella comodità dell’ordinario forse mai si sarebbe pensato di poter sfruttare. Sintetizzando dati realistici a partire da un database di dati reali tramite un processo che mantiene inalterate le proprietà del set originale, come nel primo caso, ovvero “sporcando” i dati con del “rumore”, come nel secondo caso, si potrebbero finalmente sperimentare tecniche e tecnologie capaci di innalzare i livelli di tutela al punto, per dirla come lo charme di una réclame, da non poterne più fare a meno.

Ma occorre fare presto. Non solo per limitare le insidie dilaganti per la salute dei cittadini, ma anche per arginare e contenere gli effetti economici e sociali della pandemia e contribuire ancor di più a creare modelli sostenibili per il mondo intero. Il mondo ci guarda con rispetto ed ammirazione. Non dobbiamo rincorrere il modello coreano o cinese, dobbiamo imporre il modello italiano, che è più facile, proporzionato, rispettoso e umano. E basta indugiare prendendosela con la privacy, soprattutto per una volta in cui tutti i giuristi e studiosi della materia, e sopratutti l’Autorità Garante italiana e quelle sovranazionali dell’Unione Europea (Edpb e Edps), convergono e concordano.

Facciamo presto, dunque, e quando l’alone nero attorno alla parola coronavirus sarà solamente uno scolorito, orrendo ricordo, guardandoci indietro sapremo di aver combattuto la nostra battaglia, di averla vinta, e di non aver sprecato l’occasione per un uso responsabile ed etico della tecnologica, nel pieno rispetto dei nostri diritti e libertà.

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