Per cogliere l’opportunità generate dall’intelligenza artificiale è indispensabile una governance chiara: politiche industriali, dialogo sociale, strumenti di tutela e regolazione, in un percorso di condivisione dei soggetti di rappresentanza. Il tutto da attuare in una finestra di tempo che permetta di indirizzare l’insieme della trasformazione per tutelare il lavoro ed i cittadini, questo è quello che, molto sinteticamente, come Cgil proviamo a dire da mesi alle Istituzioni, alla politica ed ai soggetti di rappresentanza.
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L’influenza geopolitica e il peso delle multinazionali USA
La sensazione però, e gli ultimi avvenimenti sembrano confermarlo, è che tutto questo dibattere sia superato dagli “eventi”. Le scelte industriali delle grandi multinazionali, l’allocazione dei loro investimenti, l’acquisto di giovani strat up per cannibalizzarle, i miliardi spesi per fare lobbying ed occupare il mercato e, infine, il “protagonismo di Trump”, hanno finito di disarticolare quel briciolo di capitalismo regolato, mutato definitivamente in capitalismo monopolistico (a conferma delle analisi di Marx sulla natura del capitale).
Con l’ultimo atto del G7, un accordo per allentare il regime fiscale alle big tech statunitensi, sembra definitivamente accantonata anche la inefficace web tax, questo a segnalare che la politica aggressiva di Trump sull’imposizione fiscale ed i dazi sta funzionando sul corpo diviso e inerte dell’Unione Europea.
Nel “nostro piccolo” abbiamo vissuto mesi di pressione costante in tutti gli spazi pubblici e privati, alle volte “trovandoci” in iniziative patrocinate da istituzioni pubbliche, ma in realtà organizzate dalle grandi multinazionali USA.
Da segnalare l’accordo del Governo con Microsoft per un valore di investimenti per 4,3 mld di euro in IA, vari accordi milionari definiti tra Ministeri e Google ed altre grandi azienda USA per fornitura di servizi etc, di cui non sono chiare le finalità nel quadro di sviluppo dell’IA nazionale o comunitaria.
Le modifiche al DdL AI e la rimozione dei vincoli sui data center
In questo quadro politico o geopolitico si inseriscono le modifiche in seconda lettura del Ddl AI.
A partire dalla soppressione dell’art. 6, comma 2, che “libera” le big tech eliminando l’obbligo di allocazione in Italia dei data center “I sistemi di intelligenza artificiale destinati all’uso in ambito pubblico, fatta eccezione per quelli impiegati all’estero nell’ambito di operazioni militari, devono essere installati su server ubicati nel territorio nazionale, al fine di garantire la sovranità e la sicurezza dei dati sensibili dei cittadini.”
Regolazione riportata e ridimensionata nell’articolo 5, lett. d, “indirizzano le piattaforme di eprocurement delle amministrazioni pubbliche in modo che, nella scelta dei fornitori di sistemi e di modelli di intelligenza artificiale, possano essere privilegiate quelle soluzioni che garantiscono la localizzazione e l’elaborazione dei dati strategici presso data center posti nel territorio nazionale, le cui procedure di disaster recovery e business continuity siano implementate in data center posti nel territorio nazionale, nonché modelli in grado di assicurare elevati standard in termini di sicurezza e trasparenza nelle modalità di addestramento e di sviluppo di applicazioni basate sull’intelligenza artificiale generativa, nel rispetto della normativa sulla concorrenza e dei princìpi di non discriminazione e proporzionalità”.
Dati fuori dai confini nazionali: una minaccia alla sovranità?
Quindi sia i dati della sicurezza nazionale (non se ne dispone diversamente) che quelli sensibili dei cittadini italiani, in possesso delle pubbliche amministrazioni, possono essere contenuti fuori dal territorio nazionale e, vista la decisione adottata dalla Commissione Europea il 10 luglio 2023 in merito al cosiddetto EU-US Data Privacy Framework (l’accordo che apre al trasferimento di dati personali tra Unione europea e USA), non è più chiaro quali tutele reali i cittadini europei avranno rispetto alla trasparenza nel trattamento dei loro dati sensibili.
Andando avanti non ci stupirebbe trovare partenariati con qualche big tech che “abilita sistemi militari satellitari”, vista anche la cessione e riorganizzazione di Sparkle (con le sue infrastrutture strategiche), dopo lo scorporo della rete di Tim.
Cybersecurity e apertura a partner Nato: verso una IA militare?
A questo, tanto per non farci mancare nulla, sempre nel DdL, all’art. 28, lett z, per le attività dell’Agenzia Nazionale di Cybersicurezza, si riconfigurano le modalità di partenariato pubblico-privato (già di per se preoccupanti viste i compiti dell’ACN) in “pubblico-privato nel territorio nazionale, nonché, previa autorizzazione del Presidente del Consiglio dei ministri, può altresì partecipare a consorzi, fondazioni o società con soggetti pubblici e privati di Paesi della NATO ovvero di Paesi extraeuropei con i quali siano stati sottoscritti accordi di cooperazione o di partenariato per lo sviluppo di sistemi di intelligenza artificiale”. Siamo al monopolio di guerra?
Una delega ampia e preoccupante: l’articolo 16
Infine, si può aggiungere quello che è stato scritto e modificato in peggio, anche all’art. 16, del DdL che assegna una immensa delega al Governo “per definire una disciplina organica relativa all’utilizzo di dati, algoritmi e metodi matematici per l’addestramento di sistemi di intelligenza artificiale senza obblighi ulteriori rispetto a quanto già stabilito a livello europeo ovvero dall’articolo 25 della presente legge, e garantendo la protezione del segreto industriale delle imprese”.
Delega ampia che ci preoccupa molto, perché interviene su una regolazione di grande delicatezza già stabilita dalle norme europee giustamente stringenti.
Ddl AI: il rischio di indebolire la trasparenza e i diritti dei lavoratori
Oltretutto come si era fatto nel 2023, con la modifica in peggio del D.Lgs 104/22 (art. 1bis), per indebolire il diritto di informativa e consultazione delle organizzazioni sindacali sull’uso di “ l’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati”, si inserisce nell’articolo il diritto al segreto industriale delle imprese. Formula giuridica che era già stata “respinta” dai giudici che avevano chiarito in varie sentenze che il segreto industriale e commerciale è limitato al codice sorgente dei programmi utilizzati (“quando sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati trattano dati personali, bene fondamentale della persona umana, il bilanciamento tra gli opposti interessi è già stato fatto dal legislatore (GDPR) il quale, non prevedendo l’opponibilità in tali casi di un segreto commerciale o industriale ha ritenuto maggiormente meritevoli di tutela i diritti del lavoratore ai quali i dati personali si riferiscono”).
Va detto che, al di là della consistenza di questa formulazione giuridica, questa norma predisporrà le big tech, già ideologicamente contrarie ai limiti imposti dalla regolamentazione europea sulla trasparenza, a rafforzare la loro indisponibilità alla tutela dei lavoratori e dei cittadini.
Ddl AI: un manifesto politico
Possiamo dire che il DdL era un testo debole, tardivo rispetto l’attuazione del Regolamento UE, con un eccesso di delega nei confronti del Governo, una identificazione delle autorità indipendenti non coerente con il testo del Regolamento Europeo (prive dell’autonomia e capacità di regolazione reale), non chiaro sui compiti dell’Osservatorio sul mondo del lavoro, con queste ultime modifiche diventa un manifesto politico ed una operazione di indebolimento del contesto europeo, un cavallo di troia nella regolazione di una tecnologia di grande potere e che rischia di determinare squilibri economici, maggiori diseguaglianze e una pericolosa concentrazione di potere nelle mani di soggetti privati multinazionali.