IL CASO

Digital Single Market, il dossier entra nel vivo. Pressing del Parlamento Ue

Nonostante il lancio delle prime proposte resta ancora affollatissimo il cantiere delle riforme. Copyright, piattaforme digitali e Tlc i focus decisivi. Italia in prima linea per dare slancio ai lavori

Pubblicato il 14 Apr 2016

Francesco Molica

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A meno di un anno dalla presentazione ufficiale, la Strategia Ue per il Mercato Unico Digitale è ormai entrata nel vivo. Dall’autunno 2015 la Commissione Europea ha via via cominciato a licenziare le prime proposte e consultazioni pubbliche. Ma la coda di dossier in corso di preparazione nella fucina comunitaria, e che attende di andare in rampa di lancio entro fine 2016, appare ancora affollatissima. Il cantiere del Digital Single Market è difatti imponente.

Le tempistiche tutt’altro che ristrette di approvazione delle singole proposte invitano la Commissione a premere sull’acceleratore. Specialmente per quei fascicoli più scivolosi e divisivi, come la riforma del copyright, la revisione del framework sulle telecomunicazioni, per non parlare di una possibile iniziativa sulla regolamentazione delle piattaforme digitali. Il “pressing” di Parlamento Europeo e Consiglio è emerso con chiarezza negli ultimi due mesi. In gennaio Strasburgo ha dato il via a una risoluzione nella quale domanda “la tempestiva adozione delle 16 iniziative” della Strategia. Un messaggio analogo è stato affidato alle conclusioni dell’ultimo Consiglio competitività del 29 febbraio.

L’Italia, per sua parte, appare in prima linea nel dare slancio ai lavori, assieme a UK, Svezia e Danimarca. Ma anche Germania e Francia presidiano la pratica, sebbene con più discrezione. Frattanto, si diceva, la Commissione ha già scodellato i primi pezzi della Strategia. Priorità assoluta alla pratica dell’e-commerce. L’obiettivo di abbattere gli ostacoli al commercio elettronico transfrontaliero è in tutta probabilità quello a cui il vice-presidente della Commissione Andrus Ansip ha voluto conferire più visibilità mediatica per reclamizzare l’iniziativa del Digital Single Market al cospetto dell’opinione pubblica europea. Delle due proposte legislative che a dicembre 2015 hanno rappresentato il battesimo di fuoco della Strategia, la prima punta a garantire la portabilità transfrontaliera dei servizi di contenuti online, per poter fruire anche all’estero dei servizi online pagati nel proprio paese di origine.

L’altra è tesa ad allineare le legislazioni nazionali in materia di vendite online, in particolare sul fronte del diritto contrattuale dei consumatori. “Abbiamo ventotto regimi di regole diverse sulla vendita online dei beni, e potenzialmente altri 28 su quella dei contenuti digitali. Fanno cinquantasei!”, ha di recente ricordato Ansip. Questa frammentazione giuridica genera alti costi per le imprese – soprattutto per le PMI – e scarsa fiducia dei consumatori. Se si riuscisse a eliminarla, stima l’esecutivo di Bruxelles, i consumi nell’UE aumenterebbero di 18 miliardi di euro. All’orizzonte c’è anche la revisione della direttiva sulla trasmissione via satellite e via cavo con l’obiettivo di aumentare l’accesso transfrontaliero ai servizi radiotelevisivi in Europa.

A qualcuno però non è andato giù che la proposta di regolamento sulla portabilità dei contenuti avesse sostanzialmente deviato dalla promessa originaria di abolire tout court la pratica del geo-blocking. Si tratta, proseguono i più maliziosi, di un cedimento della Commissione Europea alla lobby dei servizi audiovisivi. Cedimento che rilucerebbe anche nel piano sulla riforma del copyright, che secondo molti osservatori esibisce toni troppo prudenti. Si profila, insomma, un dietrofront rispetto alle ambizioni di un radicale aggiornamento del quadro esistente sul diritto d’autore strombazzate dalla Commissione a inizio mandato? Forse.

Probabile che nonostante le pressioni franco-tedesche Bruxelles rimandi la presentazione di un testo che disciplini le attività delle piattaforme digitali. Le idee a riguardo sono ancora confuse, nonostante una consultazione sul tema avviata in dicembre. Che però dovrebbe portare entro la fine dell’anno a una più modesta proposta sull’introduzione del cosiddetto “duty of care” per gli intermediari online: cioé il rafforzamento di obblighi e responsabilità in capo a telco e piattaforme digitali nel monitoraggio e la rimozione di contenuti illegali o che violano il diritto d’autore. Proseguono, inoltre, le riunioni per preparare un aggiornamento della direttiva sui servizi audiovisivi e di quella sull’e-privacy.

Quest’ultima deve essere rivista per evitare sovrapposizioni o conflitti con il nuovo regolamento europeo. Altro dossier molto caro ad Ansip è quello dell’e-government, sul quale la Commissione dovrebbe presentare un nuovo piano. Come c’è attesa per le misure di semplificazione e allineamento dell’IVA per le startup digitali. La vera cartina di tornasole resta però la proposta di revisione delle regole sulle telecomunicazioni attesa dopo l’estate.

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