L'INCHIESTA

Digital tax, lo spettro dei dazi Usa anche sull’Italia

Con Austria, Spagna, Turchia, Uk e India rischiamo anche noi le sanzioni americane per “trattamento discriminatorio nei confronti delle aziende digitali”. Washington accetterà solo una soluzione internazionale tramite Ocse

Pubblicato il 29 Mar 2021

Patrizia Licata

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Va avanti l’inchiesta del Rappresentante per il commercio degli Stati Uniti contro un gruppo di partner commerciali degli Usa, tra cui l’Italia, che hanno adottato o adotterano una loro digital tax . Adesso Washington sta valutando le sanzioni: nel mirino, oltre all’Italia, ci sono Austria, India, Spagna, Turchia e Regno Unito.

Il Rappresentante per il commercio degli Stati Uniti ritiene infatti che la tassa sui servizi digitali adottata o in fase di attuazione sia discriminatoria nei confronti delle aziende digitali americane, violi i principi della tassazione internazionale e sia onerosa per le aziende degli Stati Uniti.

La digital tax “discrimina” le aziende Usa

L’inchiesta è stata aperta a giugno del 2020 contro dieci giurisdizioni: Austria, Brasile, Repubblica Ceca, Unione europea, India, Indonesia, Italia, Spagna, Turchia e Regno Unito. A gennaio il Rappresentante per il commercio degli Stati Uniti ha pubblicato un rendiconto sulle web tax adottate da Italia, Austria, India, Spagna, Turchia e Uk e le ha descritte come “irragionevoli, discriminatorie e onerose”.

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Ora l’autorità americana sta procedendo con l’avviso pubblico sulle sue conclusioni e i commenti sulle possibili sanzioni commerciali. Le inchieste di questo genere si concludono solitamente in un anno: le sanzioni potrebbero arrivare, dunque, già a giugno, anche se Washington si dice pronta a cooperare con i Paesi alleati per evitare la soluzione più penalizzante.

Gli Usa vogliono la soluzione Ocse

Gli Stati Uniti intendono lavorare con i loro partner commerciali per trovare una risposta alla loro preoccupazione relativa alla tassa sui servizi digitali e affrontare il più ampio tema della tassazione internazionale”, ha commentato l’ambasciatrice Katherine Tai. “Gli Stati Uniti restano impegnati sull’obiettivo di raggiungere un accordo internazionale tramite l’Ocse sui temi fiscali internazionali. Tuttavia, finché non viene raggunto tale accordo, lasceremo aperte le nostre opzioni in base alle procedure previste dalla Section 301, inclusa, se necessario, l’imposizione di dazi“.

Per ora le inchieste sulle digital tax in Brasile, Repubblica Ceca, Ue e Indonesia sono chiuse senza ulteriori procedimenti. A meno che non adottino una loro digital tax: allora il Rappresentante per il commercio Usa potrebbe decidere di riaprire il dossier e valutare le sanzioni.

Un monito per l’Unione europea

Il messaggio è chiaro: gli Stati Uniti sono disposti a una modifica della tassazione sui servizi digitali ma solo se viene elaborata e approvata a livello globale. L’Europa è invece ancora aperta a una soluzione “interna” se l’accordo Ocse tarda: la scorsa settimana la Commissione affari economici e monetari dell’Europarlamento ha approvato una risoluzione che chiede di aggiornare con urgenza la normativa fiscale internazionale ma, se i negoziati internazionali falliranno, indica che l’Ue dovrebbe perseguire l’obiettivo sa sola.

Uno dei rapporteur, il ceco Martin Hlaváček (Renew), ha detto che l’Europarlamento vuole garantire che le aziende digitali che hanno grandi volumi di affari in Europa paghino la loro “giusta quota di contributi alle nostre finanze pubbliche, indipendentemente dalla presenza di una sede fisica. In mancanza di un accordo in seno all’Ocse con i nostri partner esterni entro luglio del 2021, il Parlamento europeo si assicurerà che la Commissione presenti la nostra soluzione europea senza più ritardi”.

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