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Digitale, Italia a doppia velocità. Marco Gay: “Istituzioni hanno responsabilità forte”

Anitec-Assinform: il mercato cresce del 2,5% e a fine 2019 sfiorerà i 73mila milioni di euro. Ma sono ancora troppe le aziende ai margini dei processi di innovazione. E le politiche di governo non aiutano. Il Presidente: “Il caso Impresa 4.0 segno di una politica industriale in cerca di equilibri più che di sfide alla nostra portata”

Pubblicato il 04 Apr 2019

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Un’Italia a due velocità. Da un lato il fermento delle startup e delle imprese e amministrazioni ben posizionate sul fronte dell’innovazione digitale; dall’altro l’immobilismo di tante entità che sul treno del digitale non sono ancora salite. È questa la fotografia scattata da Anitec-Assinform in collaborazione con NetConsulting cube che fa il punto sull’andamento del mercato digitale in Italia e sulle stime prossime venture.

Il comparto del digitale sta crescendo a un ritmo migliore di quello macro-economico: nel 2018 è cresciuto del 2,5% a 70.474 milioni di euro e per quest’anno è stimata un’analoga crescita che porterà il valore a 72.222 milioni. “I trend di settore indicano che la digitalizzazione avanza e che il settore Ict gioca un ruolo importantissimo nel mitigare momenti congiunturali più difficili – sottolinea il presidente dell’Associazione di Confindustria Marco Gay -.  Non cambia però il quadro di un sistema-paese a due velocità, con imprese impegnate ad innovare e ancora troppe entità, soprattutto di piccole dimensioni, ai margini dei processi di ammodernamento. È importante ripartire da lì, dando attuazione piena a tutte le misure varate e senza rinunciare a guardare oltre: la trasformazione digitale o è gestita o è subìta”. Il presidente di Anitec-Assiform pur sottolineando le difficoltà sul cammino non manca di evidenziare un contesto in mutamento: “Sino a due anni fa in Italia c’è stato il rischio di vedere le imprese travolte dall’ondata digitale per carenza di investimenti in Ict. Il trend si è rovesciato, dando l’idea di quello che saremmo capaci con una visione più ambiziosa del nostro Paese in Europa e nel mondo”.

Digitale, i numeri della crescita

È una crescita quantitativa ma anche qualitativa quella che si sta registrando in Italia migliora infatti la qualità della domanda di software e servizi ma anche di dispositivi, grazie alla spinta delle componenti più innovative. Sul fronte numerico sono software e servizi a pari merito col segmento dei contenuti digitali e del digital advertising a registrare le migliori performance con un’impennata del 7,7%. I Servizi Ict registrano una crescita del 5,1% – il tasso più alto degli ultimi anni – e hanno ripreso a crescere anche i dispositivi e sistemi (+2,6%). “È l’effetto della spinta delle componenti più legate alla trasformazione digitale, che animano progetti e applicazioni che interessano tutte le componenti dell’offerta Ict”, si legge nel report Anitec-Assinform. “Nonostante il deterioramento congiunturale, la digitalizzazione continua a progredire, ed è un bene – afferma Gay -. Genera investimenti e permette di affrontare il problema di efficienza di sistema che ci separa da una crescita solida e duratura. Le aree di eccellenza, nel manifatturiero e nell’export e nei distretti crescono, ma ci sono troppe realtà che ancora non innovano, facendo da freno. Bisogna dare continuità a quanto avviato e promuovere una diffusione più capillare dei modelli, delle tecnologie e delle competenze digitali, e puntare sulla crescita dello stesso settore Ict, che per innovazione, valore aggiunto e occupazione gioca un ruolo sempre più rilevante”.

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Nel settore Ict – evidenzia ancora l’Associazione di Confindustria – il valore aggiunto per addetto è superiore del 25% a quello degli alti settori industriali; il numero medio di addetti per impresa è del 60% superiore rispetto al quello rilevato per l’intera economia; l’occupazione fra il 2018 e il 2020 per i professionisti Ict è attesa crescere a tassi del 2,4%.

La spinta dei digital enabler

Nel 2018 il mobile business è cresciuto del 9,4%, l’IoT del 19,2%, il cloud del 23,6%, la cybersecurity del 12,2%, i dispositivi indossabili del 15,3%, le piattaforme per il web del 13,7%, mentre hanno acquisito consistenza le applicazioni di intelligenza artificiale, big data e blockchain. “La crescita di queste componenti va sostenuta: solo nei distretti industriali concorrono a generare un valore aggiunto per addetto superiore del 20% – evidenzia Gay. – Nell’industria IoT, cloud, piattaforme collaborative, sicurezza digitale già fanno la differenza, come la fanno in altri settori di punta – banche, assicurazioni, grande distribuzione, utility e PA – altri digital enabler, dal mobile ai sistemi pagamento, che sono al cuore di nuovi servizi. Ogni giorno ne cogliamo i vantaggi, come imprese, clienti e cittadini”.

Grandi imprese al top, piccole in affanno

Fatto 100 il solo mercato business (imprese e PA), il 2018 vede le grandi imprese (oltre 250 addetti) esprimere ben il 58,7% degli investimenti Ict, contro il 18,7% delle medie (50-249 addetti) e il 22,6% delle piccole (1-49 addetti), che hanno un peso in termini di occupazione e Pil proporzionalmente più elevato. In più i tassi di crescita degli investimenti 2018 sono del 4,3% per le grandi, del 3,8% per le medie e del 2,2% per le piccole. E anche sul fronte della strategia/agenda digitale serve una marcia in più. “Le complessità sono innegabili, ma i progressi in quest’ambito sono essenziali a livello di sistema, anche a riguardo di un ammodernamento della PA che non solo è strategico, ma possibile visti i buoni risultati raggiunti in taluni ambiti, a partire dalla Sanità, e vista l’articolazione del nuovo Piano Triennale”, sottolinea Anitec-Assinform.

Piano Impresa 4.0, l’errore della politica

Ancora in tema di innovazione diffusa, conta il Piano Impresa 4.0, che nel 2018 ha generato un mercato in crescita del 18,7% a 2.593 milioni. Da quest’anno esso ha visto una maggiore focalizzazione alle piccole imprese, ma a fronte di una riduzione delle risorse complessive e quindi ancora più a scapito delle aziende di maggiori dimensioni, nonostante queste siano i motori dell’innovazione nelle filiere.

“Il caso Impresa 4.0, come i passi indietro sul credito d’imposta per la R&S, restano il segno di una politica industriale e di bilancio in cerca di equilibri più che di sfide alla nostra portata. Anche se poi su altri fronti, sono emersi elementi molto positivi. – sottolinea Gay – Come la  proroga del credito di imposta per la formazione di competenze Ict, di cui abbiamo un gran bisogno;  l’innalzamento delle detrazioni per gli investimenti in capitale di rischio, che promette di stimolare il venture capital; il fondo per sostenere i progetti su intelligenza artificiale, blockchain e IoT, l’iperammortamento e incentivi per cloud e piattaforme collaborative, i voucher per l’Innovation Manager, che può guidare le piccole imprese nei processi di trasformazione tecnologica e digitale”. Secondo Gay è importante dare almeno attuazione piena a tutte le misure varate: “Le istituzioni hanno una responsabilità forte al riguardo. E sono chiamate a prefigurare l’evoluzione del sistema-paese in tempi in cui la trasformazione digitale è gestita o subìta, e in cui le imprese possano fare appieno la loro parte”.

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L’INTERVENTO DI MARCO GAY

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