IL CASO

Diritto all’oblio, Google in allarme: domande di rimozione anche da criminali

Sono 91.000 gli europei che hanno chiesto la rimozione di link, ma gli avvocati di BigG mettono in guardia sulle domande “disoneste”: gli utenti spesso forniscono informazioni incomplete o false per ottenere la cancellazione

Pubblicato il 01 Ago 2014

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Sono già 91.000 le richieste di cancellazione dai risultati di ricerca che Google ha ricevuto in Europa dopo la storica sentenza della Corte di Giustizia Ue sul diritto all’oblio, ma è possibile che questo strumento a favore della privacy si trasformi in qualche caso in una sottile arma a disposizione di individui disonesti.

Secondo un articolo del quotidiano britannico The Times, alcuni criminali nascondono informazioni controverse sul loro passato fornendo all’azienda del motore di ricerca dati incompleti o falsi sulla propria storia e sul perché richiedono la rimozione dei link.

Google stessa ha rivelato che tra le tante richieste di rimozione di link che riceve si nascondono alcune che definisce “disoneste”: del resto, spetta ai singoli cittadini fornire i motivi della loro domanda di cancellazione dei collegamenti a certe pagine web e Google non può che fare riferimento alla buona fede delle persone sperando che ci sia un “onesto motivo” nel loro appello al diritto all’oblio.

Gli avvocati di Google che si occupano di privacy pensano però che ci sia ragione di sentirsi allarmati dal trend osservato e hanno portato il problema all’attenzione del gruppo che rappresenta i regolatori della data protection in tutta l’Unione europea, l’Article 29 Working Party. Il gruppo aveva chiesto a Google di rispondere a una serie di domande su come sta implementando l’ordine della Corte di Giustizia; Google ha così rivelato che 91.000 persone in Europa hanno fatto richiesta di rimozione dei link che li riguardano, per un totale di 328.000 pagine web interessate, e che ogni rimozione viene attentamente valutata per bilanciare le ragioni della privacy con quelle della libertà di parola.

“In generale, dobbiamo fidarci di chi fa domanda di cancellazione dei link e non abbiamo altro che la parola del richiedente”, ha scritto Peter Fleischer, che rappresenta le politiche sulla privacy di Google, in una lettera rivolta a Isabelle Falque-Pierrotin, presidente dell’Article 29 Working Party. “Alcune richieste si sono rivelate basate su dati falsi e inaccurati”. In alcune richieste, ha spiegato Fleischer, i fatti sono presentati in modo non obiettivo, in una luce favorevole per chi fa domanda di cancellazione dei link, e questo impedisce a Google di conoscere l’esatto contesto in cui i fatti si collocano e di decidere se è giusto procedere alla cancellazione. Per esempio, una persona potrebbe chiedere di cancellare i link a vecchi articoli che informano del fatto che questa persona è stata in carcere per crimini commessi da adolescente, omettendo di informare di essere stata condannata per crimini simili anche in età adulta.

L’Article 29 Working Party aveva invece espresso perplessità sulla decisione di Google di avvisare gli editori della rimozione di pagine web di loro articoli dal motore di ricerca ma Fleischer ha spiegato alla Falque-Pierrotin che è importante che gli editori sappiano se Google non contiene più i link a certe loro pagine, per motivi di trasparenza ma anche per dare la possibilità di ripristinare link rimossi per errore.

Il rappresentante di Google ha ribadito che il motore di ricerca sta dedicando numerose risorse a tempo pieno alla valutazione delle migliaia di richieste che riceve di rimozione di link in nome del diritto all’oblio; anzi, diverse persone sono state assunte proprio per questa necessità, ha sottolineato Fleischer. Google deve valutare attentamente ogni singola domanda, ha detto, e per farlo non si possono usare computer e algoritmi ma persone.

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