IL ROADSHOW

Diritto all’oblio, Schmidt a Roma: “Vogliamo ascoltare la voce di tutti”

Summit di esperti con il presidente di Google nell’ambito della tappa capitolina del roadshow europeo. In campo anche il presidente di Confindustria Digitale Elio Catania. Intanto le associazioni per i diritti civili scrivono a Mountain View: “Non ostacoli le riforme sulla protezione dei dati in Europa”

Pubblicato il 10 Set 2014

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“Siamo qui per ascoltare. Ci sono complicazioni nelle richieste che riceviamo e dobbiamo bilanciare il diritto all’ informazione e capire come procedere. Vogliamo considerare le domande del panel di esperti che abbiamo invitato. Siamo interessati e vogliamo soprattutto ascoltare”. Lo ha detto Eric Schmidt (nella foto), presidente di Google, aprendo all’Auditorium Parco della Musica di Roma la seduta del comitato che il gigante di Mountain View ha convocato per approfondire la questione del diritto all’oblio dopo il pronunciamento della Corte di Giustizia Ue.

La prima riunione si era tenuta ieri a Madrid, e dopo la tappa di oggi a Roma i summit continueranno con i protagonisti locali del campo nelle principali capitali europee.

Nel comitato consultivo di Google, oltre a Erich Schmidt, ci sono anche David Drummond, chief legal officer di Google, Frank La Rue, inviato speciale delle Nazioni unite per la promozione e la tutela del diritto alla libertà di opinione ed espressione, Jimmy Wales, fondatore di Wikipedia, Luciano Floridi, professore di filosofia ed etica dell’informazione all’università di Oxford e Sylvie Kauffman, direttore editoriale del quotidiano francese Le Monde. Tra gli esperti italiani che prendono parte al summit ci sono, tra gli altri, Elio Catania, presidente di Confindustria Digitale, l’avvocato Guido Scorza, Gianni Riotta, scrittore e giornalista, e la scrittrice e attivista Lorella Zanardo.

L’iniziativa di Google è nata dopo la sentenza pronunciata a maggio dalla Corte di Giustizia Europea che ha sancito il cosiddetto “diritto all’oblio”, ovvero la responsabilità dei motori di ricerca anche rispetto al trattamento dei dati personali pubblicati su pagine web di terzi. Lo scopo del “tour” è ascoltare testimonianze dei relatori invitati, far loro domande, raccogliere spunti e infine arrivare alla stesura di un documento di raccomandazioni. Altre sedute pubbliche sono previste a Parigi (25 settembre), Varsavia (30 settembre), Berlino (14 ottobre), Londra (16 ottobre) e Bruxelles (4 novembre).

Intanto un gruppo di organizzazioni europee e internazionali che difende i diritti civili ha mandato una lettera aperta all’Advisory Council di Google dando una sua valutazione sulla sentenza della Corte di Giustizia europea e sull’impatto delle pratiche del motore di ricerca. L’Advisory Council era stato istituito e pubblicizzato da Big G proprio in concomitanza con la sentenza per raccogliere i commenti del pubblico sulla decisione del tribunale e suggerimenti su come Google dovrebbe applicarla. A firmare la lettera sono Access, ApTI, Bits of Freedom, Chaos Computer Club (CCC), Digitalcourage, Digitale Gesellschaft, European Digital Rights (EDRi), Initiative fur Netzfreiheit, IT-Pol, Panoptykon Foundation e Vrijschrift, e il messaggio è chiaro: i media hanno mal descritto la natura e la portata della sentenza, e Google deve chiarire meglio quale siano missione e obiettivi del suo Advisory Council ed evitare di causare, pur se inavvertitamente, un ritardo nell’adozione del pacchetto di riforme sulla protezione dei dati in Europa.

I media, dicono le associazioni, hanno creato la falsa impressione che Google dovrà cancellare informazioni da Internet o dai suoi indici ogni volta che un cittadino dell’Ue chiederà al motore di ricerca di farlo, nel caso in cui l’informazione da rimuovere sia irrilevante, inaccurata, datata o eccessiva. Ma, precisano le associazioni, non è così: le informazioni resteranno su Internet, anzi, resteranno anche negli indici di Google. Per questo i paladini dei diritti civili pongono l’accento sulla necessità che venga rapidamente portata a termine l’attuale riforma europea della data protection, anche perché le rivelazioni di Edward Snowden hanno dimostrato che regole robuste e affidabili sono fondamentali per sostenere il diritto dei cittadini alla privacy e alla protezione dei loro dati.

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