RIVOLUZIONE PA

Dominici: “Cittadini partner della PA. Così si innovano i servizi”

Il dg di FPA: “Bene lo Spid, il Cad e l’Anpr. Ma se non si coinvolgono gli utenti nei processi di cambiamento si rischia il flop”

Pubblicato il 23 Mag 2016

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Lo Spid, il Cad, il domicilio digitale configurano un nuovo tipo di rapporto tra PA e cittadini e creano nuove forme di cittadinanza, quella digitale. Ma non sufficienti ad innescare il cambiamento tanto atteso. Ne è convinto Gianni Dominici, direttore generale di FPA.

Cosa non la convince?

Chiariamo subito un punto: il programma di digitalizzazione in corso è indispensabile per risalire la tragica posizione in cui si trova l’Italia nelle classifiche internazionali – quart’ultima nel famigerato indice Desi della Ue – ma anche per assicurare a tutti noi cittadini un miglior rapporto con i servizi. La creazione di un’identità unica con cui accedere ai diversi servizi della PA (Spid), la possibilità di pagare in modalità elettronica i servizi pubblici (PagoPA), la realizzazione dell’Anagrafe Nazionale della Popolazione residente rappresenteranno un passo decisivo di modernizzazione della PA e per introdurre degli standard di servizio paragonabili a quelli di altri paesi europei.

Però?

Temo che non sia sufficiente a garantire al Paese gli strumenti adatti per affrontare le sfide più complesse. Non bastano in termini operativi, perché è sempre più evidente come la tecnologia sia uno strumento formidabile nel momento in cui la modernizzazione è sostenuta anche da iniziative di natura culturale e organizzativa. È difficile, ad esempio, pensare a un miglioramento dei rapporti con i cittadini senza un forte processo di “empowerment” dei funzionari pubblici. I nostri dipendenti pubblici hanno un’età media che è la più alta di Europa e per via della dissennata politica dei tagli lineari non hanno più accesso a strumenti di aggiornamento e di formazione. Ma c’è un altro motivo per cui i processi avviati rischiano di non essere sufficienti, motivo che è riconducibile alla concezione stessa di PA che ne è alla base.

E sarebbe?

I progetti in corso vanno a razionalizzare una PA che non è più in grado di rispondere ai bisogni sempre più complessi delle famiglie e dei cittadini . “Non si può affrontare il futuro con una PA del passato”, diceva Obama in un discorso diretto alla nazione di qualche anno fa. E se questo è vero per gli Stati Uniti è tanto più vero da noi. Non basta fare “fine tuning” dell’esistente, proporre una innovazione incrementale in grado di migliorare l’esistente, bisogna immaginare una nuova PA che sia conseguenza – usando un termine in voga nei contesti aziendali – di una innovazione genetica, distruttiva.

Come innescare questo cambiamento?

Alla base di questa rivoluzione copernicana ci deve essere proprio il rapporto tra PA, cittadini e imprese: da considerare come partner di un nuovo modo di gestire il bene comune. Non più, quindi, solo utenti, pazienti o clienti. Non più, quindi, portatori di bisogni o di problemi ma anche di soluzioni e di competenze. In questo contesto l’economia della condivisione rappresenta un’importante opportunità e prefigura nuove forme di cittadinanza che stravolgono gli approcci attuali.

Qualche esempio?

Nel momento in cui compro una stazione meteorologica di ultima generazione, che mi permette di misurare dentro e fuori casa valori relativi alla temperatura, all’umidità, all’inquinamento. Nel momento in cui compro tale prodotto sono un consumatore, tradizionalmente inteso, ma quando, una volta a casa, collego il dispositivo ad Internet e condivido le informazioni raccolte, divento un produttore di informazioni. Un prosumer. Lo stesso accade se tramite gli appositi portali che mi consentono di “condividere” il mio viaggio in auto.

Quale settore può fare da apripista?

Nella mobilità i cambiamenti sono evidenti. Il trasporto pubblico grazie all’economia della condivisione si arricchisce di nuovi attori e servizi facendo nascere soluzioni come il bike sharing, il car sharing o il car pooling.

La politica che ruolo può svolgere?

Si tratta di superare il paradigma dell’e-gov per abbracciare con convinzione e con coerenza quello dell’open government. Dal punto di vista operativo, il Pon Governance può essere lo strumento principale per sostenere il cambiamento. Non sprechiamo anche questa occasione, potrebbe essere l’ultima.

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