Donadon: “Agli Ott vanno chieste risorse non tasse”

Il presidente di Italia Startup: “Il nodo fiscale si può sciogliere imponendo alle aziende di restituire finanziamenti tramite piani di sviluppo digitale. Ma serve un’azione di forza a livello europeo”

Pubblicato il 19 Mar 2014

Giovanni Iozzia

riccardo-donadon-131218161436

“Un autogol per il Paese e un danno per le startup”We. All’indomani dell’approvazione in Commissione Bilancio della webtax, lo scorso dicembre, era stato duro come raramente gli capita. Riccardo Donadon, presidente di Italia Startup, non nasconde la soddisfazione dopo che “Matteo” l’ha cancellata. Donadon ha un filo diretto con il premier Renzi, lo stesso che gli ha permesso di portarlo, in occasione della sua prima uscita pubblica, in H-Farm, l’incubatore di startup che ha creato in provincia di Treviso. “Ho visto Matteo molto consapevole e attento ai temi del digitale – dice – Ha le idee chiare e mi aspetto che questo governo possa fare buone cose”.
Donadon, che cosa l’ha spaventata della webtax?
Se non fosse stata cancellata, solo noi ne avremmo subito le conseguenze negative. Quello della fiscalità dei business digitali non è un problema che può essere risolto a livello locale: avremmo penalizzato solo la nostra economia a vantaggio di altri Paesi che si sarebbero rafforzati in un mercato in cui noi abbiamo ancora molte debolezze.
Perché la webtax avrebbe danneggiato le startup?
Perché avrebbe tagliato fuori l’Italia dal resto del mondo digitale. Muoversi come singolo Stato, in modo anticipato e distonico rispetto alle future decisioni europee, avrebbe finito per allontanare dal nostro Paese molte aziende che forniscono agli startupper, e più genericamente a tutte le aziende che hanno capito quanto importante sia innovare, strumenti e metodi per implementare le loro idee. E quindi di distogliere investimenti internazionali importanti.
Ma il problema dell’elusione fiscale resta…
Sì, è vero. Ma se altri Paesi molto più conservativi e rigorosi del nostro non hanno fatto una mossa del genere vorrà dire pure qualcosa. Recuperare risorse fiscali è un un tema che va affrontato a livello europeo, anche per avere più forza nei confronti delle multinazionali digitali.
Come muoversi?
Sarà necessario muoversi con una logica condivisa, ripartendo il carico fiscale tra i Paesi in base a dove vengono generati i ricavi o trovando formule di compensazione per sostenere le economie digitali dei mercati coinvolti. I grandi operatori internazionali hanno tutte le caratteristiche, e penso anche l’interesse, per poter aiutare i sistemi locali a svilupparsi nel modo migliore.
Pensa a forme alternative di tassazione?
Se non si riesce a far pagare le tasse, sempre a livello europeo si possono definire alcune regole che impongano alle multinazionali di restituire risorse ai diversi territori per avere delle ricadute positive. Dovresti pagare 100milioni di dollari di imposte? Finanzia un piano di formazione nazionale per una cifra equivalente. Ma, ripeto, sono questioni che devono e possono essere risolte solo con un’azione di forza a livello europeo.
Serve una visione diversa?
Assolutamente. La webtax avrebbe provocato più guai che benefici. Bisogna muoversi a un livello più alto, anche perché va compresa la strategicità del digitale e del cambiamento che porta. Non puoi rimuoverlo. Oggi il problema si chiama Google, domani sarà un altro. Serve una visione di lungo termine.
Quali sono le priorità che ha segnalato al premier?
Sono totalmente d’accordo sull’importanza data alla scuola e alla formazione. Chi esce dalle scuole deve essere più sensibile ai temi del digitale, altrimenti bruceremo un’altra generazione che non sarà in grado di cogliere le opportunità offerte dall’evoluzione delle tecnologie.
E sul fronte delle startup?
Fare in modo che le strutture partite in questi anni per “allevare” nuove imprese possano irrobustirsi. Servono interventi importanti.
Chiede aiuti per gli incubatori?
Non serve sostegno finanziario, ma semplificazioni. E soprattutto la consapevolezza che queste realtà non sono nate a caso, ma dalla spinta di persone che hanno lavorato in precisi scenari evolutivi. Adesso vanno valorizzati.
Pensa a “zone speciali”?
Sì, del resto è sempre accaduto così. Pensiamo a Luxottica. Del Vecchio racconta: “Mi sono mosso da Milano ad Agordo, perché li facevano le cose bene e regalavano la terra”. Così sono nati i nostri colossi. Dobbiamo seguire le lezioni del passato. Dobbiamo individuare terreni fertili, attorno al food, al turismo o al design. E investire qualcosa: non possiamo pensare che facciano tutto i privati, da soli.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articolo 1 di 4