E-commerce, l’import batte l’export: ma si può recuperare

Mangiaracina (Osservatorio export Polimi): “Puntiamo a fare incontrare imprese e istituzioni e a creare un centro di generazione e divulgazione della conoscenza”

Pubblicato il 10 Giu 2015

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Export panacea per i mercati interni asfittici. Export come volano per una crescita culturale del sistema imprenditoriale, costretto a confrontarsi non solo sui prodotti ma anche sui processi gestionali e di mercato. Tra il 2010 e il 2013 il peso del nostro export rispetto al Pil è cresciuto del 13,3% (da 25,2% a 28,6%) (Fonte Worldbank). I valori parlano di un saldo positivo di 30 miliardi (390 di export e 360 di import). Non è, però, tutto oro ciò che luccica. Molte delle nostre imprese non sono direttamente affacciate sul mercato internazionale ma risultano integrate nelle catene di valore globali con i loro beni intermedi, che crescono in termini di incidenza dal 29% al 31% nel triennio 2011-2013; costante, invece, la rilevanza dell’export di beni di consumo, fermo al 36% (circa 143 miliardi di euro nel 2013).

Se spostiamo lo sguardo sull’e-commerce, non possiamo sorridere. La bilancia commerciale è, infatti, negativa: l’export vale 2,6 miliardi, l’import 4 miliardi. Come dire: dove c’è innovazione – di tipo gestionale e di relazione con il mercato – le nostre imprese perdono colpi, cioè competitività. “Attraverso il neonato Osservatorio – afferma Damiano Frosi, ricercatore e responsabile delle relazioni con i partner e gli sponsor dell’Osservatorio Export della School of Management del Politecnico di Milano – vogliamo dare un contributo significativo alle imprese italiane, per aiutarle a cogliere delle opportunità sui mercati internazionali, sviluppando o incrementando la loro quota di export. E lo faremo esaminando le tecnologie digitali innovative, in grado di abilitare per le aziende nuovi modelli di export o di rinvigorire quelli già esistenti”.

“Vogliamo creare delle occasioni di incontro e di confronto tra le imprese e le istituzioni, tra i consorzi e le associazioni, con l’obiettivo di promuovere il dialogo tra le parti” spiega Riccardo Mangiaracina, responsabile della Ricerca dell’Osservatorio Export. “Abbiamo l’ambizione – prosegue Mangiaracina – di creare un centro di generazione e divulgazione della conoscenza. Ci proponiamo, perciò, di esaminare gli elementi fondamentali dei diversi modelli di export: i canali commerciali, le soluzioni logistiche, le strategie di comunicazione, i sistemi di pagamento, gli aspetti di natura legale e fiscale”.

L’attività di esportazione abbraccia tali e tanti settori che è d’obbligo fare delle scelte. “Ci concentreremo su due settori in particolare: l’alimentare e la moda – conclude Frosi. Sono due eccellenze che, insieme, nel 2014 hanno pesato il 56% circa dell’export nazionale di beni di consumo. Ma non è tutto. Lo faremo pensando a due mercati in particolare: la Cina e gli Stati Uniti, che assorbono appena il 3% e il 7%, rispettivamente, del nostro export complessivo (offline e online)”. Perché questa scelta? Quale potenziale si intravede? Facile da spiegare: i web shopper cinesi sono quasi 320 milioni e fanno transitare online merci per circa 315 miliardi; quelli statunitensi superano i 160 milioni a fronte di un transato di e-commerce B2c di circa 330 miliardi.

Sono cifre enormi, che danno un’idea precisa del loro reale potenziale. Pensiamo solamente a cosa potrebbe significare l’ampliamento di qualche punto percentuale delle esportazioni verso questi due Paesi. Quali tecnologie verranno esaminate e quali, veramente, interessano l’internazionalizzazione delle imprese? A tale proposito si possono individuare due macro gruppi: il primo comprende le tecnologie relative all’esercizio del commercio elettronico, che abilitano sia il processo di vendita, sia quello di distribuzione; il secondo riguarda l’internet of things, che riunisce le soluzioni per la tracciabilità di filiera, la protezione del brand, il monitoraggio della catena del freddo, la sicurezza nei poli logistici complessi e la gestione delle flotte, relativamente alla loro localizzazione e tracciabilità.

Si parlerà, quindi, di piattaforme e portali web, di mobile site e app, di gestione delle frodi e di crm, ma anche di Rfid e di sensori per misurare temperatura, umidità e pressione, senza dimenticare gli standard di comunicazione radio (Bluetooth, ZWave, …). I processi lavorativi più coinvolti saranno, pertanto, il pre/post vendita, insieme al pagamento e alla consegna. Un’analisi approfondita che esaminerà sia i modelli di business tradizionali, sia quelli “nativi digitali”, che abbracciano l’e-commerce B2c e B2b, la dematerializzazione documentale e la tracciabilità delle merci.

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