NET NEUTRALITY

Eccesso di regolazione, la grande paura delle telco Usa

Gli operatori del cavo in campo contro l’applicazione della net neutrality: “Norme più adatte a un mercato anni ’30, a rischio concorrenza e innovazione”. Minacce di stop agli investimenti in fibra

Pubblicato il 02 Dic 2014

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Le reazioni provenienti dal mondo corporate Ict alla presa di posizione del presidente Obama sono state in gran parte improntate alla critica, quando non alla minaccia di rivedere il proprio impegno a investire nello sviluppo di infrastrutture per la banda larga negli Usa. Quest’ultima eventualità è stata esplicitamente paventata da At&T. Il Ceo, Randall Stephenson, ha infatti ventilato l’ipotesi che l’eventuale riclassificazione della banda larga sotto il Title II non solo verrebbe impugnata in tribunale, ma indurrebbe l’azienda a sospendere il proprio piano di estensione della fibra ottica in un centinaio di città Usa. L’uscita di Stephenson ha provocato una perentoria richiesta di chiarimenti da parte della Fcc sulle effettive intenzioni dell’azienda e non è detto che alle parole seguano i fatti. Le frasi del presidente At&T danno però la misura dell’opposizione dei giganti Ict alla possibilità che i principi di net neutrality trovino implementazione.

Meno ultimativa ma comunque dura è stata la presa di posizione di Verizon, il cui comunicato ha definito la regolamentazione implicita nella riclassificazione sotto il Title II una minaccia “esiziale” a “una Rete aperta, alla concorrenza e all’innovazione”. Comcast, altro attore fondamentale nel mercato Usa banda larga – tra l’altro impegnato nel takeover cruciale di Time Warner Cable – si è subito allineato; il suo vice presidente, David Cohen, ha bollato l’eventuale riclassificazione come un “capovolgimento radicale” della linea che ha finora stimolato grandi investimenti nel settore. Concedendosi un eccesso retorico, Cohen ha indirettamente ricordato al presidente Obama che la Rete “non è apparsa per caso o come un regalo, ma è stata costruita da aziende come la nostra, investendo e costruendo networks e infrastrutture”. Lo spettro di un’incertezza dannosa per gli investimenti dovuta all’eventuale riclassificazione è stato infine agitato dal Ceo di Time Warner Cable, Rob Marcus. A raccogliere e rilanciare tutte queste argomentazioni c’è la campagna lanciata dalla National Cable and Telecommunications Association (Ncta) sotto lo slogan: “Internet non è stata creata negli anni ’30, ma c’è chi la vuole regolamentare come se così fosse”.

Al di là del mantenimento di uno status quo assai profittevole per gli attuali protagonisti (articolo in basso pagina), il minimo comun denominatore di tali reazioni è la paura di nuove regole. Fintantoché è classificata come servizio informativo, la banda larga non può venir assoggettata ad una regolamentazione effettiva, come dimostra la sentenza emessa a gennaio dalla corte d’appello di Washington D.C. nella causa Verizon contro Fcc. Il quadro cambierebbe radicalmente con la riclassificazione a servizio di Tlc. In questo caso, dicono non solo i giganti Ict direttamente coinvolti ma anche alcuni fra gli osservatori più distaccati, si aprirebbe lo spazio ad una potenziale iper-regolamentazione del settore. Questo perché calare la banda larga in un ambiente normativo a suo tempo pensato per la telefonia ne comporterebbe l’assoggettamento ad una serie di regole effettivamente incongruenti con la natura del servizio. Non a caso Obama stesso, nel suo intervento, ha richiamato la necessità che, dopo aver proceduto alla riclassificazione, la Fcc pratichi una “forbearance” (ovvero “astensione volontaria”) per quelle norme che diverrebbero automaticamente ma assai poco opportunamente applicabili.

Proprio sulla “forbearance” si concentrano le critiche più sofisticate da parte degli oppositori alla net neutrality. Per costoro il pericolo che la riclassificazione venga considerata praticabile viene proprio da quella sorta di quadratura del cerchio rappresentata dalla combinazione “Title II + forbearance”. Due sono le argomentazioni che, fra gli altri, due figure di spicco della Ncta, Steve Morris e Jennifer McKee, oppongono alla riclassificazione temperata dall’astensione volontaria praticata dalla Fcc. La prima è che questa scelta richiederebbe alla Fcc di dotarsi di una struttura amministrativa dedicata ad identificare e gestire le eccezioni alla normativa derivante dalla classificazione sotto il Title II. Sarebbero queste eccezioni, imposte dalla peculiarità del servizio di banda larga rispetto ai tradizionali servizi di Tlc, che dovrebbero “ispirare” la rinuncia da parte della Fcc a far valere parte del quadro normativo esistente. La seconda argomentazione è che la Fcc finirebbe per dover giustificare a giudici e tribunali la sua rinuncia a chiedere il rispetto di disposizioni normative: se queste sono in linea di principio poste a protezione dell’utenza – è il ragionamento che viene fatto – potrebbe essere impossibile per la Fcc non chiederne il rispetto da parte degli attori del mercato. Se, come sperano i sostenitori della net neutrality, la Fcc dovesse decidere per la riclassificazione, l’agenzia guidata da Wheeler dovrà trovare il modo di dare risposta ad entrambe queste obiezioni.

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