GLI INTERVENTI

Amazon Tax, l’affondo delle associazioni: “A rischio la competitività delle pmi”

Secondo i presidenti di Netcomm e Fondazione Italia Digitale, Roberto Liscia e Francesco Di Costanzo, l’iniziativa a cui starebbe lavorando il Governo non solo non favorirebbe l’abbattimento delle emissioni inquinanti ma è destinata a gravare soprattutto sull’ultimo miglio della filiera. Confindustria Radio Tv punta il dito contro l’incremento dell’aliquota per i servizi digitali

Pubblicato il 21 Nov 2022

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“La presunta ‘Amazon Tax’ sulla rete distributiva dellecommerce proposta dal Governo all’interno della nuova legge di Bilancio non tiene conto del reale impatto economico e ambientale di questo settore sull’intera economia del nostro Paese. Porre un freno a un settore strategico come quello del digitale, che già sta subendo un rallentamento a causa dell’inflazione e dell’aumento dei costi tecnologici e di gestione dell’intera rete, significherebbe minare la competitività dell’Italia sul piano internazionale. E a farne le spese sono in primis le piccole e medie imprese, che hanno trovato nel digitale, in questi ultimi anni, una risorsa strategica per lo sviluppo del loro export, raggiungendo consumatori in tutto il mondo grazie all’ecommerce”.

L’impatto economico e ambientale dell’ecommerce

A parlare è Roberto Liscia, Presidente di Netcomm. Il numero uno del Consorzio del Commercio Digitale Italiano, che riunisce oltre 450 aziende, commenta così la proposta dell’esecutivo di introdurre una tassa a carico delle società di distribuzione che usano mezzi inquinanti per portare nelle case dei consumatori i prodotti acquistati online.

Per Liscia, infatti, i dati sono inequivocabili: “secondo una ricerca condotta da The European House – Ambrosetti per Netcomm, la rete del valore dell’ecommerce e del digital retail in Italia genera ricavi per circa 58,6 miliardi di euro, occupa il terzo posto tra le 99 attività economiche italiane per incidenza sul fatturato del settore privato in Italia e ha un impatto del 19,2% sulla crescita di fatturato del totale delle attività economiche italiane”.

Occorre inoltre considerare, secondo Netcomm, che recenti studi della società di consulenza Oliver Wyman e Lae, dimostrano come l’ecommerce abbia un impatto ridotto sull’ambiente rispetto a quello generato dal retail fisico non alimentare: “L’ecommerce consente di ridurre da quattro a nove volte il traffico generato dallo shopping nei negozi e le consegne ai clienti rappresentano lo 0,5% del traffico totale nelle aree urbane. Inoltre, secondo il rapporto di Oliver Wyman risulta che l’ecommerce genera da 1,5 a 2,9 volte in meno di emissioni di gas serra”.

Liscia precisa che si tratta “di una rete che, solo nel 2019, contava 678 mila imprese e oltre 290 mila lavoratori. Oltretutto, in un mondo sempre più multicanale, i negozi tradizionali stessi si avvalgono di servizi di consegna a domicilio e gli effetti di un’ulteriore tassazione avrebbero conseguenze negative anche sui costi della loro attività, oltre che sui prezzi destinati ai consumatori stessi”.

Fondazione Italia Digitale: un balzello sull’ultimo miglio

Anche Francesco Di Costanzo, presidente di Fondazione Italia Digitale, critica la proposta del governo. “L’ipotesi di inserire la cosiddetta ‘web green tax’ nella legge di Bilancio 2023 sulle consegne a domicilio rischia di trasformarsi in un balzello sull’ultimo miglio: un duro colpo per utenti e piccole aziende che hanno trovato impulso grazie all’economia digitale”, dichiara Di Costanzo in una nota. “Pensando di penalizzare i big dell’ecommerce in realtà si va a colpire l’ultimo pezzo della filiera. Il digitale non ha bisogno di freni, bensì di sostegno. Fondazione Italia Digitale ritiene inoltre fondamentale che ogni decisione debba essere presa eventualmente in una cornice europea, innanzitutto per evitare che il nostro Paese vada in controtendenza o perda appeal per l’innovazione digitale. Ci aspettiamo un confronto, pronti a dare il nostro contributo al Governo su questi temi, fondamentali per la competitività del Paese”.

La digital tax nel mirino di Confindustria Radio Tv

Le notizie di stampa di questi giorni in merito ad un possibile incremento dell’aliquota relativa all’Imposta sui servizi digitali (ISD), introdotta dall’articolo 1, commi da 35 a 50, della legge di bilancio 2019 e modificata dalla legge 27 dicembre 2019, n. 160 (legge di bilancio 2020), destano forti preoccupazioni in seno a Confindustria Radio Tv, in considerazione dell’impatto che tale aumento potrebbe avere sui bilanci delle imprese nazionali.“A tal proposito, va segnalato che l’imposta non ha eliminato la disparità di trattamento né azzerato lo svantaggio competitivo delle imprese nazionali nei confronti dei soggetti globali operanti nel web – si legge in una nota – Infatti, la legge individua i soggetti passivi dell’imposta tra quelli esercenti attività d’impresa, singola o di gruppo, che realizzano congiuntamente: a) un ammontare complessivo di ricavi ovunque realizzati non inferiore a euro 750.000.000 e b) un ammontare di ricavi derivanti da servizi digitali realizzati nel territorio dello stato non inferiore a euro 5.500.000”Secondo Confindustria è di fondamentale importanza “intervenire sulla norma specificando che anche i ricavi complessivi e ovunque realizzati previsti alla lettera a) siano ricavi derivanti da servizi digitali, così come correttamente indicato per i ricavi nazionali previsti alla lettera b). In mancanza di un intervento correttivo continueranno a essere penalizzate le imprese nazionali che, singolarmente o a livello di gruppo, realizzano ricavi superiori a tale soglia ma derivanti non solo da servizi digitali”.“Tale soluzione, più razionale, è quella adottata da Francia e Regno Unito. Ciò permetterebbe di concentrare l’imposizione solo su grandi imprese straniere del web, precludendo l’assoggettamento al tributo di alcuni gruppi, che fatturano anche in settori diversi e di cui fanno parte alcune imprese italiane di editoria che già pagano regolarmente i tributi in Italia”.“Il tema è all’attenzione delle Istituzioni sovranazionali ed europee – conclude – Dopo la pubblicazione da parte dell’Ocse delle regole tecniche la scorsa estate, ed esperiti i termini per la consultazione sulle stesse, la global minimum tax del 15% applicabile alle grandi multinazionali potrebbe finalmente vedere il varo entro la fine dell’anno, con successiva disapplicabilità automatica delle diverse imposte sui servizi digitali adottate a livello nazionale”.

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