LA LETTERA

E-commerce, affondo dei player europei: “Da Dma e Dsa potenziali danni per il settore”

Attualmente i nuovi regolamenti considerano “utente significativo” anche chi visita uno store online senza fare acquisti. Appello alla Commissione Ue perché si riveda la definizione: “Vanno contati solo i clienti che effettivamente completano la transazione”

Pubblicato il 15 Mar 2022

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Continua a sollevarsi il polverone di critiche ai nuovi regolamenti europei, Digital Markets Act e Digital Services Act. Dopo gli appelli dei cloud provider europei alla commissaria Vestager e delle associazioni italiane dell’Ict al ministro Colao, ora è volta delle aziende di e-commerce che chiedono alla Commissione Ue di intervenire per rivedere la definizione di utente dei servizi di e-commerce: l’appello arriva dai player europei, che rischiano – si legge nella lettera inviata a Bruxelles –  di essere inavvertitamente colpiti dalle norme.

“L’impatto danneggerebbe e indebolirebbe il settore dell’e-commerce europeo, in un momento di condizioni economiche instabili e di forte concorrenza con attori provenienti da altre parti del mondo” scrivono.

Secondo i firmatari il rischio esiste “perché gli attuali testi Dma e Dsa non riflettono accuratamente il modello di business dell’e-commerce e il modo in cui gli utenti interagiscono significativamente con questi servizi”.

Nel mirino la norma che “conta” tutti i visitatori – non solo gli acquirenti reali dunque – di un sito come utenti “significativi” per le aziende di e-commerce. Che, invece, spiegano come il window shopping non crei alcun valore per uno store online, almeno fino al momento in cui un window shopper acquista effettivamente un bene.

“Lo stesso vale per i visitatori online di un sito web o di un’app – puntualizzano – Un utente che naviga su una piattaforma di e-commerce non crea valore, a meno che quell’utente non acquisti effettivamente il bene o il servizio su quella piattaforma, né è a rischio di alcun danno associato al bene o al servizio che sta navigando”.

Motivo per cui l’attuale approccio che considera i visitatori con utenti sarebbe ingiustificato.

“I clienti attivi, che concludono transazioni, sono la base pertinente per calcolare gli utenti finali del commercio elettronico – si avverte nella missiva – Chiediamo la certezza giuridica che questa metrica sarà il punto di riferimento per gli attori del commercio elettronico nel Dma e Dsa”.

“Gli attori europei del commercio elettronico operano in un mercato globale altamente competitivo per fornire scelta, trasparenza e qualità ai consumatori europei e oltre – concludono i player – Piccoli, medi, ma anche grandi attori tecnologici dell’Ue dovrebbero essere supportati in Europa. Una definizione accurata degli utenti finali assicurerebbe che queste iniziative normative di punta raggiungano l’obiettivo di promuovere un mercato unico digitale europeo equo e competitivo per i consumatori europei e le aziende di tutte le dimensioni. Gli attori europei dell’e-commerce si rammaricano del fatto che con l’approccio attuale, le aziende rischiano ingiustamente di vedere indebolita la loro capacità di competere sul mercato europeo”.

L’appello delle associazioni italiane dell’Ict

E anche in Italia si sollevano critiche su alcune norme del Dma. AssoRtd, associazione che raduna i Responsabili per la transizione al digitale d’Italia, ha sottoposto, unitamente a Cispe, Assintel, Codacons e Cio Aica Forum, all’attenzione del ministro Vittorio Colao una lettera in merito al Digital markets Act (Dma) e alla scelta e all’utilizzo delle licenze dei software, soprattutto per quanto riguarda la pubblica amministrazione. Il tema sollevato, e sul quale si auspica possa essere fornito un chiarimento a livello europeo, attiene ad alcune pratiche messe in atto da fornitori e produttori di software che utilizzano una posizione di forza sul mercato impedendo una libera ed equa scelta nella fornitura di servizi di infrastruttura cloud, attuando meccanismi di lock-in nei propri ecosistemi favorendo, di fatto, la propria offerta di infrastruttura cloud rispetto alla concorrenza. Problema questo, commentano i firmatari della nota, già noto da tempo, ma che non sembra trovare neanche nel Dma una ricaduta concreta.

“I nostri associati – afferma Francesco Andriani, segretario generale di AssoRtd – guardano all’attuazione completa del modello di interoperabilità da parte delle aziende del settore Ict, al rispetto dei dettami del Gdpr, alla rimozione delle problematiche relative alla migrazione di piattaforma, come fasi necessarie e fondamentali per una corretta crescita e realizzazione della transizione al digitale sia in ambito pubblico che privato, ritenendo come il ruolo del Responsabile per la transizione al digitale sia di fondamentale raccordo tra la componente tecnico/tecnologica, quella privacy e compliance ed il management”.

L’affondo dei cloud provider

Il Digital Markets Act così non va e non tutela il mercato del cloud. E’ quanto scrivono in una lettera aperta alla commissaria Ue alla Concorrenza Margrethe Vestager il Cispe (Cispe – Cloud Infrastructure Services Providers in Europe), portavoce dei provider di servizi di infrastruttura cloud a livello europeo.

I provider che detengono il monopolio stanno un’altra volta usando la loro posizione dominante per forzare i clienti ad usare le loro infrastrutture cloud”, scrivono i firmatari, che sono 41 Ceo e fondatori di provider europei, tra i quali gli italiani Aruba e Iredeos.

“Questo significa che altri fornitori di infrastrutture cloud più piccoli non possono competere e tra questi ci sono le società innovative europee che rischiano di essere escluse dal mercato – evidenziano – Abbiamo una finestra di opportunità per preservare l’autonomia del settore europeo del cloud. Il Dma potrebbe garantire rapidamente che il mercato europeo del cloud sia libero, aperto e competitivo”.

“L’attuale versione della legge sui mercati digitali richiede un chiarimento per far sì che si rimedi alle pratiche ingiuste dei gatekeeper”, si legge nella lettera ricordando le numerose proposte ed emendamenti del Parlamento Ue avanzate contro l’abuso della posizione dominante da parte dei ‘gatekeeper’.

“Queste pratiche creano una distorsione sistematica del mercato e la legge sulla concorrenza che si occupa dei singoli casi non ha gli strumenti per affrontarla”, scrivono i firmatari secondo cui “non si possono attendere 5 anni per la revisione del Digital Markets Act, servono misure ‘ex ante’”.

Intanto si è  concluso il terzo trilogo – il negoziato a tre tra Commissione, Parlamento e Consiglio Ue – sul Digital services act (Dsa). A quanto si apprende da fonti parlamentari nessun accordo sarebbe stato trovato e tutte le questioni affrontate oggi sarebbero state rimandate a un livello tecnico.

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