IL TREND

E-commerce, il 70% degli italiani pronto a cedere dati in cambio di servizi su misura

E il mix online-offine conquista l’88% dei consumatori. L’integrazione fra i due modelli diventa la chiave per spingere consumi, export e competitività. Lo studio Vision & Value

Pubblicato il 29 Nov 2022

commerce-shopping

Non solo negozio. Ma non necessariamente solo e-commerce. E’ il mix di modelli online e offline a conquistare l’88% degli italiani, nel 2021. Emerge dallo studio – dal titolo “Infrastrutture digitali: definizioni, effetti sui consumatori e le imprese, opzioni strategiche per massimizzarne il valore” (SCARICA QUI L’ABSTRACT) – firmato Vision & Value secondo cui il digitale non svantaggia l’offline, anzi, si legge nel report, “spesso ne stimola l’evoluzione”. Non basta: la cessione dei dati personali registra un cambio di passo: il 68% di chi compra online ritiene “abbastanza o molto accettabile” che i dati vengano utilizzati per una maggiore personalizzazione. Anche sul fronte climate change lo shopping online porta benefici: genera da 1,5 a 2,9 in meno di emissioni di gas serra rispetto al commercio tradizionale.

Quali sono i comparti sotto la lente

Sono sei gli ambiti sotto la lente dello studio che scandaglia i vantaggi del digitale per il commercio tradizionali: editoria, elettronica di consumo, abbigliamento, alimentari, pubblicità online e turismo.

Nel comparto del turismo, il costo medio di un alloggio è sceso del 7,8%. Nell’abbigliamento oltre il 70% delle Pmi italiane ha tratto benefici dalla digitalizzazione, tra cui un aumento del fatturato pari al 10%. Nell’elettronica il 69% dei consumatori preferisce l’utilizzo di un marketplace che proponga molteplici brand. Nell’alimentare l’e-commerce ha chiuso il 2021 con una crescita del +23% delle vendite per un valore pari a 1.8 miliardi di euro. Nel turismo il prezzo medio di un alloggio è sceso del 7,8% grazie alle prenotazioni online.

I vantaggi per chi vende

Non basta: anche chi vende trae benefici dalle infrastrutture digitali, soprattutto se si considerano i piccoli e i medi operatori. Nel retail Amazon, Meta, Google ma non solo, stanno supportando imprenditori e Pmi nella digitalizzazione delle attività, anche attraverso partnership tra pubblico e privato.

In particolare, le 20mila Pmi presenti su Amazon hanno creato più di 60mila posti di lavoro e hanno generato, nel 2021, più di 800 milioni di euro in export, evidenziando come il digitale acceleri l’internazionalizzazione.

Non “piattaforme” ma “infrastrutture digitali”

“Sia l’Europa sia l’Italia registrano un ritardo in merito ai processi di innovazione dominati dagli Stati Uniti e dalla Cina. Appare improprio – dice Francesco Grillo, Ad Vision & Value e Fellow dell’European University Institute, – utilizzare il termine piattaforma digitale per identificare imprese che sono tra di loro assai diverse. Per questa ragione lo studio adotta il termine infrastruttura digitale per definirle”.

Sono infatti distinti i modelli di business, la profittabilità, i mercati nei quali competono, i segmenti serviti e lo scope geografico. Anche l’impatto occupazionale è una discriminante: Amazon ha un numero di occupati nel mondo maggiore della somma degli occupati delle altre 13 internet companies più grandi”. Inoltre lo studio punta a promuovere un confronto “per eliminare alcuni pregiudizi – si legge nel report – che rischiano di produrre politiche non efficienti e di disperdere il potenziale che l’innovazione radicale creata dalle infrastrutture digitali genera”.

Online e offline, il vantaggio è reciproco

Il vantaggio sembra reciproco: sia le catene distributive di maggiori dimensioni che i negozi di prossimità, le Pmi e le grandi imprese hanno ricevuto dall’irruzione di modelli di business completamente nuove opportunità e sfide per potersi rinnovare. Ugualmente anche le grandi imprese “Internet native” stanno aggiornando i propri business model sulla base dell’esperienza dei soggetti che hanno sfidato.

Ne sono esempio nel settore libri, si legge nello studio, sia le librerie indipendenti che stanno sviluppando competenze da luogo di aggregazione di offerta culturale, sia il grande distributore Messaggerie che sta ridisegnando la propria logistica e sviluppando nuove modalità di “business intelligence”.

Ormai tutti convergono verso modelli multicanale: Amazon che entra nel cibo con “Amazon go”, Apple che ha costruito il proprio brand sui negozi fisici; ma anche nel tessile Zara (con le applicazioni “click and collect), o nel consumer electronics Unieuro (con le applicazioni “mon-click”). Molto interessanti sono le partnership che si sviluppano tra due mondi che si ritenevano destinati allo scontro.

Sostenibilità, sfida vinta dall’e-commerce

Sul fronte sostenibilità, l’e-commerce genera da 1,5 a 2,9 meno emissioni di gas serra e consente di risparmiare da quattro a nove volte il traffico generato dallo shopping nei negozi.

In particolare, lo studio dimostra che il modello di Amazon, per via dell’economia di scala e la centralizzazione delle risorse, consente una razionalizzazione della logistica e, dunque, una riduzione dell’inquinamento altrimenti generato da singoli acquirenti in movimento verso i negozi fisici.

Anche negli altri settori la sostenibilità diventa strategica, grazie al digitale: nell’editoria, il print on demand riduce le stampe non necessarie; nell’abbigliamento, intermediari digitali come Vinted e Depop hanno facilitato la crescita del second hand (il cui valore è stimato a 70 miliardi nel mondo 2025); nell’alimentare i supermercati del futuro e i frigoriferi intelligenti consentiranno di evitare situazioni di “overstocking” e di proporre un’offerta “on-demand”.

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