LA DIRETTIVA

Shopping online, stretta della Ue su Amazon & co

Via libera dal Consiglio Ue al nuovo regolamento che mira a garantire maggiore trasparenza nelle transazioni B2B: obbligo per le piattaforme di istituire un sistema interno di gestione reclami e preavviso di 30 giorni nel caso di modifiche alle condizioni di servizio. Ora la palla passa ai negoziati del trilogo

Pubblicato il 07 Dic 2018

Amazon Visa

La Ue è pronta a varare una nuova regolamentazione per rafforzare la trasparenza nei servizi B2B delle grandi piattaforme online.  La direttiva, già approvata dalla commissione per il mercato interno di Strasburgo, saranno ora oggetto dei negoziati tra Parlamento, Commissione e Consiglio Ue che ha dato oggi il via libera ufficiale.

“Norme chiare ed efficaci sono essenziali per l’ulteriore sviluppo del commercio transfrontaliero all’interno del mercato unico – ha spiegato Josef Moser, il ministro della Giustizia dell’Austria (il paese che ha attualmente il semestre di presidenza del Consiglio dell’Ue ndr) – Una società o un consumatore non vendono o acquistano beni in un altro Stato membro se non vi è sufficiente certezza giuridica sui loro diritti e obblighi. Con l’accordo che abbiamo raggiunto oggi, spero che potremo fare rapidi progressi con il Parlamento europeo per raggiungere un accordo sulle vendite di beni e la direttiva sui contenuti digitali entro la fine della legislatura”.

Nel dettaglio la direttiva stabilisce norme comuni su alcuni requisiti che riguardano i contratti di vendita conclusi tra il venditore e il consumatore, come le norme sulla conformità dei prodotti al contratto; i rimedi in caso di difetto di conformità e il modo in cui tali rimedi e le garanzie commerciali possono essere esercitati.

La direttiva si basa sul principio della massima armonizzazione, il che significa che gli Stati membri non possono discostarsi dai requisiti si massima stabiliti dalla Ue. Previste eccezioni – dunque garantita più autonomia – per mantenere il livello di protezione dei consumatori già applicato a livello nazionale.

Un esempio sono i criteri che stabiliscono i periodo di garanzia: la direttiva prevede un minimo di due anni per il periodo di garanzia ma se le legislazioni nazionali prevedono periodi più lunghi, quelli possono essere mantenuti.

La posizione del Consiglio stabilisce inoltre che le merci con elementi digitali devono essere regolamentate solo nell’ambito della direttiva sulle vendite di beni e non anche nella direttiva sui servizi digitali. Questa è l’opzione che dovrebbe fornire la migliore chiarezza e certezza delle regole per i consumatori.

I motori di ricerca e i marketplace dovranno spiegare i motivi della rimozione di beni o servizi dai risultati di ricerca o  il delisting da un marketplace nonché fornire una descrizione dei parametri per determinare il ranking nei risultati di ricerca.  Il regolamento riguarda anche modifiche arbitrarie in termini di servizio: se le imprese devono apportare modifiche tecniche significative deve essere previsto un periodo di preavviso al consumatore di almeno 30 giorni.

Stretta anche sulla privacy: le piattaforme online non possono divulgare i dati generati dalle transazioni di un utente  a terzi parti per scopi commerciali senza consenso.

Infine, tutte le piattaforme (sono escluse le più piccole) dovranno per istituire un sistema interno di gestione dei reclami e facilitare la risoluzione extragiudiziale delle controversie. La proposta offrirebbe inoltre alle imprese la possibilità di citare in giudizio le piattaforme collettivamente nel caso in cui non riescano a trattare adeguatamente i reclami.

Il testo ha provocato mal di pancia nella Ccia, l’associazione di lobby che a Bruxelles porta avanti gli intessi di Google & co. Secondo l’associazione la regolamentazione “ha poco senso se inserita in una proposta valida per tutta, senza considerare le spicificità dei mercati nazionali. Per questo auspica che il trilogo – i negoziati tra Commissione, Consiglio e Parlamento – facciano le modifiche necessarie.

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