REGOLE

Enzo Mazza (Fimi): “La difesa del copyright è la difesa del made in Italy”

Il Ceo della federazione delle industrie musicali: “Le aziende globali non solo non investono in contenuti, ma dragano risorse pubblicitarie ed esportano la maggior parte del fatturato generato nel nostro Paese. Basterebbe questo per far dire ad un Governo da che parte stare”

Pubblicato il 28 Giu 2018

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“Qui non si tratta di una battaglia tra old economy e new economy come qualcuno si ostina a raccontare. L’industria musicale è la più digitalizzata. La battaglia che l’Italia deve combattere è per fare sì che la produzione italiana, il made in Italy, possa approfittare al meglio dei canali digitali per raggiungere un pubblico sempre più vasto a livello globale”. Lo dice Enzo Mazza, consigliere delegato Fimi, intervenendo sul regolamento europeo sul copyright da cui il governo italiano ha preso le distanze.

La bozza di direttiva Ue sul copyright prefigura un cambio di passo nell’economia del lavoro creativo: cosa scongiura?

L’Unione Europea, nella sua strategia per il digital single market, ha ben compreso l’importanza e il valore di un framework di protezione e sviluppo dei contenuti digitali. Con questa proposta la Commissione ha affrontato alcune questioni rilevanti che ormai da tempo costituivano un’anomalia nel settore del copyright, visto il fatto che la precedente riforma del copyright online risaliva ai primi anni duemila mentre l’evoluzione tecnologica aveva nel frattempo cambiato attori e modelli di business. Il punto fondamentale è che vi sono aziende globali che estraggono valore dalla produzione creativa senza riconoscere un’adeguata compensazione, come, ad esempio, la questione del value gap, la discriminazione remunerativa che ha portato YouTube a enormi ricavi ma a una bassa distribuzione di royalty agli aventi diritto.

Quali sono i rischi dell’adozione di una posizione “avversa” come quella del governo italiano?

L’Italia è un grande Paese produttore di contenuti, dall’editoria, al cinema, alla musica. Le imprese riunite in Confindustria Cultura Italia, ad esempio, rappresentano bene quanto siano importanti gli investimenti nella produzione italiana. Le major discografiche, per fare un altro esempio, investono nel repertorio italiano la maggior parte dei ricavi realizzati nel nostro Paese. Dall’altra parte esistono imprese globali che non solo non investono in contenuti, ma dragano risorse pubblicitarie e operano con modelli fiscali molto aggressivi esportando la maggior parte del fatturato generato nel nostro Paese. Basterebbe questo per far dire ad un Governo da che parte stare. Qui non si tratta di una battaglia tra la old economy e la new economy come qualcuno si ostina a raccontare. L’industria musicale è la più digitalizzata, lo streaming è oltre la metà del mercato e le case discografiche sono aziende con alto grado di innovazione.

La battaglia che l’Italia deve combattere è per fare sì che la produzione italiana, il made in Italy, possa approfittare al meglio dei canali digitali per raggiungere un pubblico sempre più vasto a livello globale. Per fare questo serve una forte tutela della proprietà intellettuale in tutti campi. Non posso immaginare che per esempio la Lega, che si batte per la tutela dalla contraffazione, possa condividere posizioni anti copyright espresse dal M5S.

Gli oppositori della direttiva invocano la libertà di espressione: è così?

Le faccio solo un esempio in casa nostra, quella musicale. La libertà creativa è un aspetto fondamentale, gli artisti e gli autori hanno da sempre totale libertà e molti successi musicali hanno forti connotazioni politiche o di assoluta indipendenza rispetto a temi anche caldi. Potremmo noi avvallare una normativa che limita la libertà di espressione? È una manipolazione da parte di piattaforme che non vogliono perdere posizioni di rendita acquisite e ricavi basati anche sull’utilizzo illegale di contenuti. Purtroppo caricare un  film pirata o un brano musicale o gestire una piattaforma per vedere il calcio senza pagare non è libertà di espressione, è furto.

E’ vero che la direttiva darebbe implicitamente più potere agli algoritmi (che solo gli Ott possono elaborare)?

Non è così. I sistemi di content ID avranno sempre dei meccanismi che salvaguardano alcuni aspetti fondanti delle libere utilizzazioni come la critica, gli usi accademici e la parodia. È un falso che non si potranno più fare meme. L’accordo necessario tra produttori di contenuti e piattaforme sarà basato sull’identificazione solo ed esclusivamente di contenuti protetti da copyright e la direttiva ha introdotto anche dei sistemi di ricorso per gli utenti in caso di rimozione di contenuti caricati che non siano in violazione delle norme. Gli utenti saranno in realtà più garantiti rispetto ad oggi dove non vi sono regole certe ed ogni piattaforma si muove con proprie policy.

Ci sono punti deboli della direttiva? E’ migliorabile?

Sicuramente il processo di mediazione tra Parlamento, Consiglio e Commissione potranno migliorare certi passaggi che sono magari in contraddizione nei tre testi adottati fino ad oggi. In generale la direttiva è un primo passo per migliorare il framework legale in Europa, ma nella prossima legislatura non si potrà prescindere dall’affrontare altri temi importanti come l’enforcement dei diritti, con una revisione della direttiva omonima e forse mettendo mano anche alla direttiva sul commercio elettronico per rivedere, finalmente, la questione della responsabilità degli intermediari chiarendo quali sono i soggetti che possano realmente godere delle esenzioni di responsabilità e quali no.

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