IL CASO

Expo 2015, open data per “salvare” il cantiere

Fra scandali e mazzette l’Expo rischia di arrivare zoppo all’appuntamento del prossimo anno. Ma si può recuperare: piattaforme “aperte” in nome della trasparenza e dell’efficienza. E Renzi rispolvera il progetto del 2012 Open Expo

Pubblicato il 09 Giu 2014

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Meno 11 mesi. Accelera il conto alla rovescia per l’inizio dell’Expo. Ci sono ancora un’infinità di opere da completare o addirittura da avviare, per centinaia di milioni di euro di investimenti. Il presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone è già al lavoro per evitare che gli ultimi metri di questa maratona iniziata nel 2008 siano funestati da nuovi scandali legati a mazzette e scorciatoie illegali. Possibilmente senza troppo mettere i bastoni tra le ruote al commissario Giuseppe Sala, che avrà il suo bel da fare per rispettare tempi e consegne.

In entrambi i casi, si tratta di missioni molto delicate. Ma in entrambi i casi, potrebbero essere agevolate, se non addirittura integrate, dall’attivazione di una vera politica di accessibilità ai dati. Certo, l’idea di un Open Expo – era questo il nome del progetto che nel segno degli open data avrebbe dovuto garantire trasparenza e accountability – risale al 2012, ma da allora non se ne è più parlato, salvo evocarlo frettolosamente subito dopo gli arresti di maggio. Al di là dell’ipotesi di riaprire o meno quel file, non sarebbe nemmeno necessario andare troppo lontano per agganciarsi a pratiche e modelli efficienti, visto che Regione Lombardia è uno degli enti più attivi sotto questo profilo. Non solo in Italia, ma anche a livello europeo. “Ottimizzare la presenza e l’utilizzo dei dati significa passare dalla mera pubblicazione delle informazioni in formati eterogenei a forme sempre più omogenee, aperte e interoperabili”, spiega al Corriere delle Comunicazioni Michele Benedetti, ricercatore dell’Osservatorio eGovernment della School of management del Politecnico di Milano. “Il che implica trasformare la pratica del semplice upload di file in pdf, spesso scan digitali dei documenti cartacei, in traduzione delle informazioni ivi contenute in tabelle Excel, per poi abbandonare i formati proprietari e adottare software open source. L’evoluzione finale? L’aggiunta di un url per rendere i dati identificabili e una serie di link ad altri dataset per contestualizzarli”.

Regione Lombardia è sulla strada giusta. Nel momento in cui si scrive sono infatti 535 i dataset disponibili sul sito istituzionale. A marzo, secondo il monitoraggio di Agenda digitale Lombardia, erano 508, superando da questo punto di vista anche i portali dedicati di Istat e Inps, con una performance totale dei primi dieci dataset pari a 75.556 download (mentre nel complesso i download sono stati 129.488). A partire da gennaio è stata poi attivata una serie di strumenti che permettono agli utenti di collaborare con gli administrator per innalzare il livello di qualità del servizio: il rating dei dataset, associato alla possibilità di commentarli o segnalare eventuali problemi nell’accesso, e una funzionalità che consente di creare una nuova vista a partire da un dataset esistente. I dataset più visualizzati a marzo? Quello delle residenze sanitarie assistenziali, i contributi e corrispettivi della Regione e l’albo delle cooperative sociali. Ma nella top 20 figurano anche i bandi di gara.

Cosa succederebbe se si facesse lo stesso per Expo 2015? Incrociando e confrontando le informazioni a disposizione con le statistiche regionali, si potrebbero misurare i ritorni sugli investimenti e i tempi di realizzazione delle opere facendo emergere eventuali anomalie. Ma la sezione trasparenza del sito è ferma al primo stadio, con prevalenza di documenti pdf che a partire dal 2008 riportano bilanci, relazioni, gare, aggiudicazioni. C’è da dire che la situazione non è difforme dal panorama che emerge da un report che l’Osservatorio eGovernment presenterà a luglio, e di cui Benedetti anticipa qualche risultato. “Degli 88 enti lombardi che hanno risposto alla nostra indagine, 84 hanno attivato una sezione apposita sul proprio sito, anche se il 56% non ha ancora completamente assolto agli obblighi del Decreto Trasparenza (il 94% ha pubblicato i dati in pdf), pur essendo in procinto di attivarsi in questo senso. Il 5% non si adeguerà a causa della mancanza di risorse umane. Il 32% ha richiesto l’intervento di una software house, ma solo il 13% ha acquistato un tool apposito. Per adeguare il sito il 49% non ha sostenutto spese, mentre tra quelli che hanno dovuto investire risorse, il 17% ha speso meno di 500 euro”. È evidente che le barriere non sono di natura economica. Piuttosto manca ancora la domanda: l’88% dei comuni coinvolti nello studio non ha avuto richiesta di accesso ai dati da parte dei cittadini, il 93% è stato snobbato dalle imprese. “L’utenza non sa di questa opportunità oppure non sa come usarla”, commenta Benedetti. Noi siamo sicuri che invece a Sala e a Cantone tornerebbe molto utile.

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