LA PROPOSTA

Facebook, ecco perché la Cina non lo vuole

Il ceo Mark Zuckeberg: “Vorrei andare a Pechino per difendere la libertà d’espressione”. Ma il governo cinese guarda con diffidenza al sistema crittografico che impedisce di controllare le mosse degli utenti

Pubblicato il 18 Ott 2019

Antonio Dini

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Adesso sembra quasi un campione della libertà di espressione. È così che Mark Zuckerberg si presenta, perlomeno in un discorso agli studenti dell’università di Georgetown, dove ha difeso le politiche pubblicitarie della sua creatura Facebook e ha ribadito che ha cercato di entrare più volte in Cina superando la censura di stato per il bene della libertà di espressione.
«Volevo portare i nostri servizi in Cina – ha detto Zuckerberg agli studenti – perché credo nel bisogno di connettere tutto quanto il mondo. E ho pensato che avremmo potuto aiutare nella creazione di una società più aperta. Ho lavorato duramente e a lungo per questo obiettivo ma non abbiamo mai raggiunto un accordo con Pechino che ci permettesse di operare in quel Paese. Non ci hanno mai voluto».

Facebook secondo quanto dichiarato da Zuckerberg, ha provato per anni ad entrare in Cina, l’ultimo dei grandi ostacoli alla visione di un mondo connesso attraverso le app dell’azienda della Silicon Valley.
I tentativi sono stati molti. Zuckerberg ha incontrato il presidente cinese Xi Jinping a Pechino e ha dato il benvenuto ai regolatori cinesi nel campus dell’azienda. Ha anche imparato a parlare (un po’) in mandarino e ha postato le sue foto mentre corre nella piazza Tienanmen, provocando peraltro numerose proteste da parte dei critici alla chiusura del regime cinese.

L’anno scorso l’azienda ha anche vinto la licenza per aprire un centro di innovazione a Hangzhou. Tutti tentativi in una direzione che Mark Zuckerberg ha invertito lo scorso marzo, quando ha annunciato di reindirizzare Facebook verso una forma di comunicazione più privata con sistemi crittografici che non permettono agli stati di “guardare dentro” le comunicazioni degli utenti del più grande social media al mondo. E inoltre Zuckerberg ha anche dichiarato di non voler aprire data center dove conservare i dati degli utenti “in paesi che hanno un curriculum di violazioni dei diritti umani come la privacy o la libertà di espressione».

Zuckerberg ha anche difeso la politica pubblicitaria del social media, sostenendo che Facebook a un certo punto aveva preso in considerazione l’idea di vietare tutte le pubblicità politiche ma che poi ha deciso di non farlo perché preferisce promuovere la libertà di espressione per tutti.

L’azienda, al centro di polemiche per quanto riguarda gli spot pubblicitari che vengono passati in questa fase delle elezioni presidenziali americane sul social media, ha deciso di non sottoporre a controllo nessuna pubblicità di politici perché Zuckerberg ritiene che non sarebbe appropriato per un’azienda del tech censurare delle figure pubbliche.

L’anno scorso la Reuters aveva raccolto indiscrezioni, che erano state smentite all’epoca dal social media, che i dirigenti di Facebook stavano discutendo se vietare o no le pubblicità politiche, che pesano per circa il 5% del totale sul fatturato del social media, decidendo poi per il no.
Negli ultimi anni le polemiche sul ruolo di Facebook nelle vicende politiche ed elettorali non solo americane è stato una costante del dibattito che coinvolge i big del tech.

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