Mille miliardi di euro, a tanto ammontano le imposte non versate ogni anno nelle casse della Ue a causa di operazioni elusive messe in pratica dalle aziende. E sono prevalentemente multinazionali, Ott in testa, le società che sfrutterebbero le differenziazioni tributarie dei diversi Paesi, strutturando operazioni di pianificazione fiscale aggressiva.
In particolare la nascita della digital economy, ed il conseguente sviluppo di nuovi modelli di business (e-commerce e vendita di pubblicità online), hanno consentito a molte società di “ottimizzare” il proprio carico fiscale, convogliando i profitti in Paesi a minor tassazione.
Basti pensare a Holding localizzate in Stati con regimi tributari di favore, che però operano e producono profitti in un Paese terzo. Si tratta di politiche aziendali strategiche atte ad evitare doppie imposizioni fiscali facendo leva sugli strumenti convenzionali in essere quali: le direttive interessi, royalities e fusioni.
Uno per tutti, la “direttiva madre-figlia” (n. 90/435/CEE) che mira ad evitare la doppia imposizione dei profitti distribuiti in forma di dividendi all’interno di un Gruppo caratterizzato da società avvinte da legami partecipativi (madre e figlia, appunto) ed appartenenti a differenti stati Ue.
La sua strumentalizzazione a fini elusivi ha reso necessaria la previsione di una clausola vincolante anti-abuso, approvata lo scorso dicembre dal Consiglio Ecofin, e che gli Stati membri dovranno recepire nei propri ordinamenti entro il 31 dicembre 2015.
Si tratta, dunque, di operazioni legali in senso stretto che però contrastano con lo scopo della norma poichè mirano ad ottenere un vantaggio fiscale altrimenti non spettante. Queste manovre sfruttano le asimmetrie presenti negli ordinamenti tributari dei diversi Stati, con l’obiettivo di sottrarre reddito imponibile ai Paesi ad alta fiscalità.
Un nuovo modo modello di business, quello digitale, ed un nuovo mercato, globale, rispetto ai quali fino ad oggi non è stato previsto un adeguamento della normativa fiscale. Infatti, a beneficiare delle asimmetrie di mercato sembrano essere, in primis, proprio le società Ott, giganti della rete che governano il traffico internet gestendo social network (Facebook), motori di ricerca (Google), negozi online (Amazon).
Una delle principali conseguenze delle pratiche di pianificazione fiscale aggressiva, e dunque del connesso trasferimento dei profitti tra Paesi, è l’erosione della base imponibile negli Stati in cui si realizza l’operatività commerciale, a vantaggio di Paesi a bassa fiscalità. Tali pratiche sollevano la questione della responsabilità di quegli stessi Stati che, vantando regimi di favore, attirano i capitali delle società estere e vi riservano trattamenti fiscali preferenziali. Ecco allora che l’ampia discrezionalità che consente agli organi tributari dei singoli Stati di dare seguito ad accordi di tax ruling, potrebbe falsare la libera concorrenza ed avvantaggiare selettivamente solo alcune società. I regimi di favore attuati nei confronti di alcune imprese, tipicamente multinazionali, anche a discapito di aziende nazionali, potrebbero configurarsi come una forma di aiuto di Stato, incompatibile con i principi comunitari.
Il 12 febbraio, l’Europarlamento ha istituito una Commissione speciale sul tax ruling ritornando su un tema già più volte affrontato. Sotto la lente, già in passato, erano state messe società quali Fiat Finance & Trade, Apple, Starbucks. Sono soprattutto le multinazionali ad essere “indagate” poichè il tax ruling viene solitamente emesso proprio per disciplinare le politiche di transfer pricing di questi gruppi. L’obiettivo è valutare se tali politiche di prezzo rispecchino le effettive condizioni di mercato ed assicurino giusto valore alle operazioni infragruppo, o se piuttosto comportino una sottostima del reddito imponibile e dunque un trattamento fiscale di favore in contrasto con il principio dell’ arm’s lenght, ossia di libera concorrenza stabilito dalle Linee guida Ocse.
Partendo da queste premesse, la Commissione Ue ha chiesto uno sforzo congiunto a tutti gli Stati membri, ben consapevole del fatto che soluzioni unilaterali risulterebbero insufficienti.