IL REPORT

Food tech leva di business per l’Italia, ma gli investimenti sono al palo

Solo il 48% delle imprese si è dotata di strumenti tecnologici che tracciano la filiera e appena il 23% gestisce in maniera accurata la propria comunicazione digitale. Così si rischia di rallentare l’internazionalizzazione del settore agroalimentare. La fotografia scattata da EY

Pubblicato il 05 Dic 2018

food

Le aziende nel settore Food trainano l’export del Pil italiano: con un valore della produzione che rappresenta più del 17% complessivo del Pil Italiano (dato 2017) vedono il 68% andare oltre confine. A dirlo l’indagine EY “Future Consumer.Now” che ha analizzato ricerche qualitative e quantitative su 80.000 consumatori internazionali in 27 Paesi nel mondo, che hanno accesso ai prodotti italiani. Secondo il report, in aggiunta al valore economico, il “food” è uno dei tre elementi più importanti di carattere distintivo del Made in Italy, insieme alla “moda” e alla “cultura/turismo”.

Entrando nel dettaglio del report, emerge che  il 73% dei consumatori associa il Food al nostro Paese, attribuendone immediatamente le caratteristiche di “qualità”, “raffinatezza”, “tradizione”.

Il livello di consapevolezza dei consumatori rispetto alle caratteristiche del prodotto non vengono attribuite al marchio “Made in Italy”, ma i consumatori internazionali sono ad oggi molto più informati. Sempre sul campione intervistato, solo il 32% è consapevole del “Made in”, ma il 65% si dice attivamente interessato a capire la provenienza delle materie prime, il processo di lavorazione, come è stato pubblicizzato. Insomma, il consumatore internazionale è interessato alla “vera” qualità del bene, e non solo a quella attribuita dall’etichetta.

Ma solo il 42% delle aziende italiane è veramente consapevole di ciò che i consumatori internazionali vogliono, e questo è dovuto principalmente da un’errata percezione del valore del marchio “Made in Italy” all’estero. Ciò ha portato le aziende a non investire correttamente nelle tecnologie atte ad abilitare una gestione specifica di questo target di consumatore, che è il più importante driver di crescita per il futuro.

Il 75% delle imprese italiane del settore food si è dotato di sistemi di Crm per conoscere e targettizzare i clienti; solo il 48% si è dotata di strumenti che consentano di tracciare adeguatamente la filiera agroalimentare sottostante; solo il 23% gestisce in maniera accurata e a livello “locale” la propria comunicazione digitale.

A cosa è interessato, quindi, il consumatore del futuro, e come è possibile capire gli impatti che queste nuove tipologie di consumatori hanno sulle aziende Food italiane, e sulla loro filiera tecnologica? Attraverso degli hackathon locali, condotti in 5 città internazionali (Berlino, Los Angeles, Londra, Shanghai, Bombay), EY ha coinvolto più di 3.000 consumatori locali, 62 centri di ricerca e quasi 50 aziende internazionali. Dall’analisi emergono 4 categorie principali.

Berlin, “Home anywhere”.  E’ questo il principale raggruppamento di consumatori europei di food classificato dalla ricerca, valido prevalentemente per l’Europa, dove il 67% dei consumatori ha come primo driver di scelta il “sentirsi a casa sempre”. In uno stile di vita in viaggio, dove i social hanno il sopravvento come principale strumento di comunicazione, e dove l’esperienza acquista una valenza molto importante, il consumo lo si vuole associare al valore della “famiglia” e lo si vuole consumare in un luogo “familiare” in compagnia.

Los Angeles, “Data Influence”. I consumatori americani per il 71% dei casi sono ben disposti a cedere le proprie informazioni personali purché questo torni indietro come valore reale riattribuito. Scontistica personalizzata, offerta di prodotti esclusivi, ma anche “esperienze” nuove (come tastings, italianità…) sono un importante valore che i consumatori americani sono disposti a riconoscere alle aziende, ed alle aziende italiane in particolare perché sono “Top Of Mind” nel mondo del food. Per farlo diventare realtà le aziende italiane devono però dotarsi di strumenti di analytics evoluti, che riescano a personalizzare la conoscenza del cliente e l’offerta commerciale, per realizzare il mantra richiesto dal consumatore.

Shanghai, “Quantified Consumer”. E’ lo stereotipo del consumatore cinese quello che con più probabilità dovrà essere “dominato” dal mondo del Food italiano, vista la dimensione della popolazione locale, e la sua importanza nella comunità locale. Il 90% dei consumatori cinesi che acquistano prodotti food italiani sono “Quantified Consumers”, ovvero sono acquirenti che con altissima probabilità daranno un giudizio numerico sui social al prodotto consumato, ne parleranno in dettaglio sulla rete, e saranno potenzialmente brand ambassadors locali. Con un livello di nazionalismo importante nella popolazione cinese, una connettività social che riporta KPIs tra i più alti al mondo (mediamente ogni cinese connesso carica sui social 482 post/anno; mediamente i cinesi che hanno accesso ai canali di commercio elettronico effettuano 4.2 acquisti/anno) è importante per i marchi noti del Food italiani far sì che questo archetipo di consumatore non sia solo tracciato, ma curato in ogni aspetto, per colpire fasce di consumo che sarebbero, al contrario, impenetrabili.

London, “Time First”. Il “tempo” è il bene più prezioso nei Paesi anglosassoni per il 72% degli intervistati. Poiché i consumatori preferiscono dedicare più tempo alle “esperienze” (e.g. viaggi, luxury, wellness) e alla famiglia, rispetto allo shopping “puro” sarà sempre più importante per loro riuscire ad ottimizzare il tempo per effettuare la transazione di prodotti food. La multicanalità è ormai un paradigma fondamentale, ed i punti vendita fisici lasciano sempre più spazio a strumenti digitali per concludere le transazioni e vedersi recapitati i prodotti a casa. L’87% della popolazione anglosassone ha effettuato almeno una volta un acquisto di “food” on line; il 48% effettua più di 2 acquisti al mese. Numeri importanti che fanno capire l’importanza di questo fenomeno in un Paese particolarmente avvezzo agli acquisti pagati anche con moneta digitale. Per riuscire a penetrare al meglio questa categoria di clientela, i brands devono riuscire a costruire degli ecosistemi digitali e tecnologici perfettamente funzionanti e che consentano ai propri consumatori un’esperienza “one stop shop” che sia rapida, efficace, divertente e sicura. Fondamentale è però garantire trasparenza ed autenticità dell’ecosistema che si è costruito a supporto dell’esperienza di acquisto.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati