IL CASO

Foxconn, tensioni negli impianti: a rischio la produzione di iPhone

Secondo gli analisti le azioni dimostrative dei lavoratori potrebbero far scendere la produzione di oltre il 30%, una stima peggiore di quella elaborata dalla stessa azienda il mese scorso. Impossibile il pieno ripristino dell’attività produttiva entro fine mese

Pubblicato il 25 Nov 2022

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Le gravi tensioni registrate nello stabilimento del colosso dell’elettronica taiwanese Foxconn a Zhengzhou, in Cina, potrebbero provocare un crollo della produzione dei nuovi Iphone della Apple superiore al 30%. Questo è quanto hanno riferito fonti vicine al dossier a Channel News Asia, specificando che le proteste e le fughe di lavoratori dal vasto stabilimento produttivo, innescate dalla draconiane politiche di contenimento del Covid-19, hanno causato ricadute gravi sulle operazioni. La stima è peggiore rispetto a quella elaborata da Foxconn il mese scorso, che ipotizzava un impatto sulla produzione “fino al 30 per cento”. Secondo la fonte citata dal quotidiano, le proteste messe in moto dai lavoratori dello stabilimento questa settimana renderanno “impossibile” il pieno ripristino della produzione entro la fine del mese

I disordini iniziati il mese scorso 

Lo scorso mercoledì 23 novembre centinaia dei nuovi operai assunti dal colosso dell’elettronica taiwanese Foxconn hanno distrutto telecamere di sorveglianza e ingaggiato violenti scontri con il personale di sicurezza nell’impianto di Zhengzhou, esprimendo frustrazione per le draconiane restrizioni anti-pandemiche adottate nello stesso, e denunciando ritardi nei pagamenti dei bonus salariali promessi dai dirigenti. In molti hanno riferito di essere stati costretti a condividere i dormitori con colleghi risultati positivi al coronavirus, lamentando la stessa mancanza di garanzie alla sicurezza che il mese scorso aveva spinto numerosi operai ad abbattere le barriere di contenimento issate attorno alla fabbrica e a darsi alla fuga, organizzata a piedi nel mezzo della generale paralisi dei mezzi pubblici provocata dalle restrizioni anti-Covid. 

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Stabilimento già noto per le condizioni difficili

Prima dell’episodio, che aveva riacceso l’attenzione pubblica sul più grande produttore di iPhone al mondo, Foxconn era già tristemente nota per le basse retribuzioni, i turni di lavoro massacranti e l’alto tasso di suicidi avvenuti nei suoi maxi-stabilimenti, che la dirigenza ha tentato di contrastare circondando gli edifici con enormi reti. Queste furono installate per la prima volta nel 2010, anno in cui 14 persone di età compresa tra i 19 e i 28 anni saltarono dalle finestre di dormitori gremiti di operai. Le morti sono continuate anche negli anni successivi, sulla scorta di salari insufficienti a sostenere il costo della vita a Zhengzhou e dell’altissimo stress vissuto dai dipendenti durante il picco degli ordini. 

A complicare un ambiente di lavoro contraddistinto dalle scarsissime garanzie offerte ai lavoratori è arrivata l’emergenza pandemica, con la relativa politica di “tolleranza zero” che la fabbrica di Zhengzhou ha adottato, cercando di non abbassare i suoi elevati livelli di produttività. Lo stabilimento da’ infatti lavoro a 200 mila persone e produce il 70 per cento degli smartphone spediti da Apple in tutto il mondo. 

Veterani dell’Esercito chiamati a lavorare nell’impianto

La maxi campagna di 100 mila nuove assunzioni inaugurata dopo la fuga di massa dei dipendenti si è resa quanto mai necessaria soprattutto in vista dello shopping natalizio, su cui il colosso di Cupertino punta con convinzione per registrare il boom di vendite dei suoi modelli di iPhone 14 Pro e Pro Max. L’esigenza di contrastare il rallentamento economico nazionale ha spinto all’azione anche i funzionari della provincia cinese in cui sorge lo stabilimento, lo Henan, che hanno tentato di appellarsi al sentimento patriottico dei veterani dell’esercito in pensione per spingerli a lavorare alla Foxconn. Emblematico è il caso dell’amministrazione della contea di Changge, che in una lettera aperta pubblicata sul social WeChat ha sollecitato gli ex militari a “rispondere alla chiamata del governo” e a “presentarsi dove necessario per contribuire al rilancio della produzione”.

La campagna di reclutamento di massa era stata promossa da Foxconn a colpi di rialzi e bonus salariali per dipendenti vecchi e nuovi, ottenendo inizialmente i risultati sperati. Secondo quanto riferito alla stampa da un dipendente in condizioni d’anonimato, però, la dirigenza sarebbe venuta meno ai generali termini del contratto per i neoassunti, che avrebbero dovuto beneficiare di un bonus di 419 dollari dopo 30 giorni lavorativi e di altri 419 dollari dopo un un totale di 60 giorni. 

Di fronte alle proteste per il mancato adempimento degli obblighi contrattuali, la dirigenza avrebbe offerto agli operai freschi di assunzione una buonuscita di circa 1.400 dollari: 1.199 per dimettersi immediatamente e circa 280 per salire a bordo di un autobus diretto verso casa. In una dichiarazione pubblicata ieri, Foxconn ha tentato inoltre di fare chiarezza sulla questione, affermando che la controversia sui contratti era dovuta ad un “errore tecnico” e che la retribuzione effettiva sarà “quella concordata e quella presente sui manifesti di reclutamento”.

Apple prova a frenare gli imbarazzi

La dirigenza ha avviato trattative con i gruppi di contestatori ancora attivi nello stabilimento e, secondo alcune fonti, avrebbe raggiunto un “consenso preliminare” che ha contribuito a ristabilire la calma, almeno per il momento. Nel frattempo l’imbarazzo ha raggiunto anche Apple, il cui personale “sta lavorando a stretto contatto con Foxconn per fare in modo che le preoccupazioni dei dipendenti vengano affrontate”. E le promesse sulla buonuscita sembrano quantomeno essere state rispettate.

 
 
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