CAMERE E INNOVAZIONE - 15

Galgano (Sc): “La ricerca collabori in rete per rafforzarsi”

La deputata: “Lo scambio di esperienze e conoscenze tra gli atenei ci renderebbe più forti in Europa. Innovazione vuol dire usare le nuove tecnologie, ma anche sposare lo spirito del tempo, cioè l’open source, dove ognuno dà qualcosa in cambio di molto”

Pubblicato il 23 Apr 2014

Antonello Salerno

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Pubblichiamo le opinioni dei deputati e dei senatori che hanno aderito all’intergruppo sull’Innovazione. Un insieme di eletti bipartisan che “fa gruppo” con l’obiettivo di sensibilizzare i Palazzi e indirizzare i provvedimenti esaminati da aule e commissioni per “rimettere il digitale al centro delle decisioni parlamentari”.

Risponde Adriana Galgano, classe 1963, eletta alla Camera a marzo 2013 nella lista Scelta civica con Monti per l’Italia, è iscritta al gruppo parlamentare Scelta civica per L’Italia. Fa parte della commissione Politiche dell’Unione europea, dove ha la carica di segretario.

Onorevole Galgano, perché ha aderito a questo intergruppo?

Questo Paese ha un grosso obiettivo, entrare nella contemporaneita, e accettare che i metodi con i quali si fanno le cose sono cambiati. Nel nostro Paese la produttività negli ultimi 10 anni è calata, e questo è un segnale inequivocabile: considerando tutte le innovazioni tecnologiche che ci sono state, è un dato da considerare con molta serietà. Questa situazione, lo dico con ironia, in parte deriva dal fatto che le “vecchie tecnologie” non sono ancora entrate nel lavoro di ognuno di noi, soprattutto nel pubblico. Noi continuiamo a chiamarle “nuove” tecnologie, ma alcune ci sono da 20 anni: il fatto che le chiamiamo “nuove” è un segnale di scarsa dimestichezza con questi strumenti.

Quali sono gli interventi prioritari su cui lavorerete?

Un obiettivo molto importante è nell’innovazione dei lavori in Parlamento. Sulle audizioni, ad esempio: noi continuiamo a chiedere alle persone di venire, e questo è considerato un aspetto di attenzione verso il Parlamento, anche se le spese non vengono rimborsate. Spesso però può essere utile sentire persone che sono all’estero: sull’energia e la reindustrializzazione, che sono aspetti fondamentali verso il 2020, ho chiesto di sentire esperti tedeschi e francesi. Mi è stato fatto presente il problema delle spese di trasporto, senza che potesse essere presa in considerazione la possibilità della videoconferenza. Ma dovremmo sentire l’esigenza di avere più contatti con l’estero, perché l’Italia è una Regione d’Europa, e questo non è ancora abbastanza percepito in Parlamento, nonostante la tecnologia lo renda semplice.

Lei fa parte della Commissione sulle Politiche dell’unione europea. Come potete intervenire per “innovare” il Paese?

L’esempio migliore riguarda la ricerca. Fino al 2013 abbiamo usato la metà delle risorse che l’Europa ci ha messo a disposizione, in un campo in cui c’erano da spendere 22 miliardi, e oggi la ricerca è uno degli strumenti migliori per favorire la nascita di nuove aziende. Il Regno Unito ha avuto benefici enormi in termini economici dai rapporti tra impresa ricerca e università. I francesi e i tedeschi sono molto più bravi di noi a farsi finanziare. Il motivo è che in Francia, ad esempio, tutti i centri di ricerca sono connessi tra loro in rete e c’è un continuo scambio del know how necessario per accedere ai fondi, che richiedono spesso progetti molto impegnativi. Questo collegamento in rete, anche tra le Università, con lo scambio di best practice, è fondamentale. Le nostre università devono essere disponibili a scambiare know how, e per fare questo è necessario un cambio di mentalità: fino a oggi si è stati troppo attenti a salvaguardare le proprie conoscenze a scapito della condivisione. L’innovazione è utilizzare le tecnologie, ma anche sposare lo spirito del tempo, che è quello del software open source, dove ognuno fa parte di una grande comunità e dà qualcosa in cambio di molto. Le università italiane sono molto chiuse tra loro e anche nei confronti dell’estero.

L’intergruppo riunisce ormai più di 50 deputati e senatori da diversi schieramenti politici. Qual è il valore aggiunto?

Siamo riusciti a far approvare più emendamenti animati dallo stesso spirito in diverse commissioni. Nel nostro caso siamo intervenuti sull’accordo di Partenariato, riuscendo a far inserire delle condizioni specifiche sull’agenda digitale, un campo in cui il nostro Paese è molto in ritardo. Abbiamo chiesto, ad esempio, che i fondi possano essere utilizzati anche per le infrastrutture immateriali, per gli open data. E’ vero che siamo 50, e che questo è un buon numero, ma dobbiamo diventare molti di più. Il nostro obiettivo è crescere di numero, e lavoriamo in ogni commissione anche per sensibilizzare i nostri colleghi.

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