IL RAPPORTO

Glocus: Internet economy, in Italia vale solo il 2% del Pil

Glocus: la media europea si attesta al 4%, con picchi del 7% in Germania e Nord Europa. Linda Lanzillotta: “Investire sulla formazione giovanile per colmare il gap e rilanciare l’occupazione”

Pubblicato il 04 Lug 2013

internet-120613151556

Se fino a qualche anno fa l’Europa aveva paura dell’idraulico polacco, simbolo di un’invasione di manodopera a basso costo proveniente dai paesi dell’est europeo, oggi la stessa Europa è alla ricerca del carpentiere digitale, l’operaio 2.0 che sa utilizzare le nuove tecnologie prima ancora che i vecchi arnesi di lavoro. È quanto emerge dal rapporto “Professioni e Lavoro nel 21esimo secolo”, curato da Glocus e presentato questa mattina a Roma.

Secondo il report , l’Internet economy italiana contribuisce alla formazione del Pil nella misura di appena il 2%, circa 32 miliardi di euro, rispetto alla media europea del 4% con picchi del 7% in paesi come Germania e Nord Europa. Se raggiungessimo la media europea è come se avessimo ogni anno 4 finanziarie italiane

“L’unico modo per uscire da una situazione che vede il tasso di disoccupazione giovanile italiano al 40,5% – si legge nel rapporto – è quello di riallineare l’offerta di lavoro alla domanda del mercato, riformando alla base il sistema dell’istruzione e della formazione. Non basta dunque una politica degli incentivi per le assunzioni, ma servono degli interventi volti a preparare i lavoratori ad un mercato ormai cambiato”.

In Europa, segnala ancora il think thank, la domanda di lavoro nel prossimo triennio sarà concentrata soprattutto sull’istruzione e la formazione radicalmente trasformati dalla rivoluzione digitale degli ultimi anni. Entro il 2015 si prevede che ci saranno circa 900mila posti di lavoro vacanti a
causa della scarsità di figure professionali dell’Information and Communication Technology.

Per questo Glocus propone, accanto ad una prioritaria riformadel diritto del lavoro e all’introduzione della formulavbcontrattuale della flexsecurity, anche una profonda riorganizzazione dell’istruzione, a partire già dai cicli della prima infanzia, importando modelli che hanno registrato successi negli altri paesi: dal sistema dei tirocini in Germania alla digitalizzazione della didattica universitaria.

“Noi partiamo in ritardo perché abbiamo di fatto mancato l’obiettivo che l’Europa si era data per il 2000/2010 – ha spiegato il presidente di Glocus, Linda Lanzillotta – L’agenda di Lisbona ci diceva di puntare tutto sulla formazione, sulla ricerca, sull’innovazione. Per quanto riguarda l’Italia sappiamo com’è andata: nell’ultimo quindicennio il settore dell’education è stato il più definanziato del bilancio pubblico a vantaggio dei settori della previdenza e della sanità”.

In particolare i consumi pubblici per le spese sanitarie italiane dal 1980 al 2009 sono aumentati dal 29,7% al 33,8%, mentre l’istruzione ha visto scendere la quota dal 25,7% al 20%. “Abbiamo speso per gli anziani anche le risorse che dovevano costruire il futuro per i giovani – ha concluso Lanzillotta – ora dovremmo restituirgliene almeno una parte”.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati