SHARING PA

Iaione (Luiss): “Collaborazione è leva di spending review”

Il coordinatore LabGov dell’ateneo: “Cresce il numero di enti che sceglie il modello sharing per battere la crisi economica. L’obiettivo è fornire servizi a costi minori e migliorare la qualità della vita”

Pubblicato il 03 Mar 2015

Federica Meta

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La crisi economica ha portato a riscoprire il paradigma della condivisione. Si tratta di un vero e proprio movimento globale, reti di reti che si intersecano modificando l’intera filiera di creazione del valore, superando la dicotomia pubblico -privato. Dall’accesso alle risorse, alla produzione, dal consumo fino all’ideazione e alla progettazione di prodotti e servizi, ogni fase del processo è sempre più connotata da pratiche e sviluppi di natura collaborativa.

E la PA? Come sempre, che lo voglia o meno, è un interlocutore dei soggetti attivi dell’economia collaborativa. Ma può fare di più. La pubblica amministrazione può entrare nel movimento e prendere appieno il suo ruolo: governare e accelerare la diffusione di impatti positivi per le comunità. A parlare di questo movimento è Christian Iaione, coordinatore del LabGov della Luiss.

Iaione, sharing economy e PA sembrano due realtà antitetiche: condivisione e collaborazione versus verticalizzazione e burocrazia. È davvero possibile applicare i principi dell’economia collaborativa alla PA italiana?

È possibile e in alcuni casi è già realtà come a Bologna e Mantova, ad esempio. È vero però che, almeno in Italia, non è ancora arrivato il tempo della “modellizzazione” ma siamo ancora alla fase della sperimentazione e del “trasferimento culturale” alle amministrazioni. Un lavoro che sta portando avanti il LabGov della Luiss, cercando capire cosa funziona e cosa no nelle sperimentazioni avviate.

Perché una PA dovrebbe investire nella sharing economy?

Perché è un investimento in grado di liberare risorse, di creare economie di scala grazie alla collaborazione di attori pubblici e attori privati con effetti positivi non solo sull’efficienza dell’azione amministrativa, ma sul tessuto sociale tutto. Una forma di investimento, di impegno, assolutamente necessaria per uscire da questo momento di transizione economica che sta gettando le basi per nuovi modelli. L’obiettivo è quello di superare lo Stato-Leviathano di hobbesiana memoria per arrivare a uno Stato cosiddetto “relazionale”. La sharing economy è una rivoluzione copernicana che mette gli individui al centro dei processi, laddove i modelli tradizionali sono gerarchici e asimmetrici. E la PA può avere molti buoni motivi per aderire a questo modello: per dare più servizi a costi minori, per migliorare la qualità della vita dei cittadini e le condizioni ambientali.

Come dovrebbe agire la pubblica amministrazione relazionale?

L’amministrazione deve cessare di essere un “gestore” di processi per diventare un “abilitatore” in grando di favorire l iniziative e la collaborazione tra i privati e gli operatori sociali. Come ha fatto il Comune di Bologna, il primo in Italia ad aver approvato un regolamento per la città condivisa. Un canale attraverso cui le iniziative dei cittadini, come per esempio le Social street nate su Facebook, possono dialogare con l’amministrazione. La novità, in questo caso specifico, è che in questo percorso non vengono riconosciute solo le associazione ma anche i gruppi informali. Anche il Comune di Mantova ha lanciato un suo progetto di economia collaborativa.

Di che si tratta?

Si tratta di un progetto nel quale cittadini e innovatori sociali, imprese, istituzioni cognitive, società civile organizzata e istituzioni pubbliche condividono e attuano strategie di sviluppo locale attraverso dinamiche collaborative e tecniche di co-design. La mission di CO-Mantova è quella di produrre innovazione, lavoro e moltiplicazione delle risorse. In questa iniziativa particolarmente importante è il ruolo delle imprese che sono tradizionalmente l’anima produttiva del territorio, il motore economico della società. Con il patto di governance collaborativa CO-Mantova le imprese diventano infatti un attore “pubblico” che, grazie all’azione condivisa, è in grado di fronteggiare la crisi, intercettare nuove idee e progetti, mettere a fattor comune risorse e strumenti, sperimentare formule sinergiche, incrociare nuove domande. Sia nel caso di Bologna sia in quello di Mantova c’è stato un forte commitment da parte delle amministrazioni pubbliche perché, prima di tutto, la sharing economy è un processo di governance per il quale serve un forte impegno da parte delle istituzioni e un nuovo contesto reagolatorio.

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