LA VISION

“Il capitalismo è morto”, la provocazione del fondatore di Salesforce

Marc Benioff critica le aziende tech, troppo concentrate sugli azionisti e troppo poco su dipendenti e clienti: “Dobbiamo inventare un nuovo modello”

Pubblicato il 16 Ott 2019

DAVOS/SWITZERLAND, 24JAN13 - Marc R. Benioff, Chairman and Chief Executive Officer, Salesforce.com, USA; Young Global Leader Alumnus gestures while speaking during the session 'Enterprise Dynamism - Unleashing Entrepreneurial Innovation' at the Annual Meeting 2013 of the World Economic Forum in Davos, Switzerland, January 24, 2013.Copyright by World Economic Forumswiss-image.ch/Photo Moritz Hager

Ha dimostrato di sapere molto bene cosa vuol dire fare impresa, visto che la “sua” creatura, Salesforce, è passata da essere una startup di due persone in un appartamento a San Francisco nel 1999 a diventare un colosso da 130 miliardi con più di 13 miliardi di fatturato annuale. Marc Benioff in venti anni è diventato uno degli eroi del capitalismo, però adesso nel suo ultimo libro, “Trailblazer”, l’imprenditore americano che ha sempre dichiarato di avere simpatie repubblicane, ha cambiato nettamente prospettiva. E con la sua consueta energia tira fuori tutto quello che secondo lui non va nel capitalismo americano (e non solo).

Il sei volte miliardario ritiene infatti che l’industria del tech sia troppo potente e che il capitalismo di oggi è troppo centrato sui profitti. Già a gennaio dello scorso anno, durante il World Economic Forum, Benioff aveva dichiarato che se i Ceo non si attiveranno subito per ricostruire la fiducia nelle aziende che guidano, dovranno essere i legislatori a farlo.
«Le persone non riuscivano a credere – ha detto in una intervista Benioff – che un Ceo del settore tech come me potesse dire queste cose, cioè che serve più regolazione nella tecnologia. Ma adesso tutti quanti, incluse le grandi aziende del tech e quegli stessi Ceo che all’inizio erano in forte disaccordo con me, adesso hanno cambiato opinione e concordano. Perché la realtà è che, se non sono le aziende a cambiare i loro valori in modo proattivo e veloce, saranno i governi a farlo in maniera obbligatoria».

Nel suo libro, Trailblazer (“Innovatore”), Benioff rincara la dose. Alcune parti del libro sono aneddoti tipici dei libri scritti dai Ceo e fondatori di grandi aziende, con ricordi e dietro le quinte di situazioni molto complesse: come quando Benioff decise di non comprare Twitter. Però, a parte le perle di saggezza e il condensato di esperienze di uno degli imprenditori di maggior successo di sempre, il libro di Benioff sembra una specie di manifesto che avrebbe potuto essere scritto dalla senatrice Elizabeth Warren, la grande avversaria del settore tech che vorrebbe spacchettare e dividere tutte le grandi aziende del settore. Non è questo l’obiettivo di Benioff, però l’imprenditore dice in buona sostanza che il capitalismo così come lo conosciamo è morto perché le aziende sono troppo focalizzate sui ritorni per gli investitori e qualche volta (anzi, spesso) tasse più alte sarebbero proprio necessarie. Per essere un ex Repubblicano diventato indipendente è un notevole salto culturale.

Ma non è finita qui. Benioff insiste che in realtà non è lui che è cambiato. Semplicemente, sta cercando di far passare gli stessi valori che ha instillato in Salesforce due decenni fa. Valori che, sostiene l’imprenditore, sono tornati molto utili sia per l’azienda che per le comunità dove opera.

«Venti anni fa – dice Benioff – quando abbiamo creato Salesforce, la nostra idea era che che avremmo fatto un’azienda con un nuovo paradigma tecnologico, un nuovo modello di business e un nuovo modello di capitalismo». E l’azienda tra le altre cose dona l’1% dei suoi profitti, valore di prodotti e tempo dei dipendenti per le società non-profit.
Secondo Benioff il ragionamento è semplice: «Quando si guarda oltre l’orizzonte degli azionisti, ci si rende conto che i clienti non sono il prodotto, ma sono degli stakeholder. I dipendenti non sono ingranaggi del motore aziendale, sono stakeholder. E i bambini non sono persone che porti in macchina con te mentre vai al lavoro, sono stakeholder. E i senza-casa non sono persone accanto alle quali passi, ma sono i tuoi stakeholder».

Secondo Benioff è necessario che per sopravvivere le aziende si rendano conto di queste cose. E quando gli affari vanno male? Come si fa ad implementare questo modello di responsabilità sociale d’azienda durante le crisi? Per Benioff non è un problema: «Ho visto molte crisi, momenti duri. Come Ceo sono passato attraverso periodi molto complicati. Ma devi continuare a fare così, altrimenti non sopravvivi come azienda».

Secondo Benioff infatti prima o poi “i dipendenti di queste aziende se ne andranno, e se ne andranno anche i clienti. In quel momento i Ceo capiscono che devono creare una azienda con standard etici tali che le persone abbiano voglia di lavorarci, la gente di farci business, le comunità di accoglierli nel loro spazio».

Secondo Benioff il grande cambiamento è avvenuto dopo il 2017, quando l’eredità dei grandi iniziatori del settore tech, come Bill Hewlett e Dave Packard (Hp) e altre aziende simili, si è esaurita. Al suo posto è nata invece una sensazione diversa: «La gente si chiede: che cosa stanno facendo con i miei dati personali? Cosa è successo nelle ultime elezioni? Costa state facendo con i profitti delle vostre aziende? Ebbene in quel momento le persone si rendono conto che i leader di oggi danno la priorità al potere, al controllo e alla profittabilità selvaggia, a un capitalismo senza protezione rispetto alle comunità dove hanno sede le aziende».

Il futuro secondo Benioff è destinato ad essere molto differente. «Stiamo andando velocemente in un mondo dove, nel 2050, ci sarà più plastica che pesce nei nostri mari, ci saranno sempre più homeless, sempre più disuguaglianze, e una profonda crisi del sistema educativo pubblico».

La conclusione per Benioff è semplice: «Le persone di successo hanno l’obbligo morale di lavorare per un cambiamento sistemico e io sono d’accordo che questo debba succedere. Quando è morto Paul Allen, ha lasciato una tonnellata di soldi per la filantropia, ma non è riuscito a fare tutto quel che voleva. Per me e per tutti gli altri Ceo è arrivato il momento di darsi da dare e farlo subito, perché il tempo che abbiamo a disposizione è davvero poco».

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