LO SCENARIO

Il digitale spinge le aziende al femminile: e-commerce e data analytics i settori più presidiati

Le donne esprimono una spiccata propensione nelle attività che più servono all’innovazione del Paese: nel commercio elettronico le imprese sono il 26,8% del totale, percentuale che sale al 30% nel comparto dell’analisi delle informazioni. Sorpresa Mezzogiorno. Ma il finance gender gap rischia di ostacolare la crescita

Pubblicato il 18 Ott 2021

Fondo impresa donna e tutti i finanziamenti per l'imprenditoria femminile in Italia

Le donne esprimono una spiccata propensione imprenditoriale nelle attività che più servono per accelerare la digitalizzazione del Paese. È la conclusione della ricerca “Dal soffitto al Diaframma di vetro – Imprese e carriere al femminile” realizzata dal-l’Università di Padova, InfoCamere, Osservatorio Professioni Digitali e Lavori Ibridi.

Il lavoro analizza numerosità, distribuzione territoriale e ambiti settoriali delle imprese femminili (cioè a proprietà e governance in prevalenza in mano a donne) iscritte al Registro Imprese al 4° trimestre 2020. Per l’analisi delle imprese digitali sono state considerate le aziende operanti nei settori dell’e-commerce, nei servizi internet, nell’elaborazione dati, nella produzione software. L’analisi si basa sullo studio proposto da Confartigianato sull’economia digitale.

Il report utilizza la definizione di “diaframma di vetro”, al posto del consolidato “soffitto di vetro”, per mettere in evidenza una sorta di autoselezione di genere, che porta (o spinge) le donne a fare impresa nei settori tradizionalmente concepiti come mestieri da donna. Oltre al Gender Pay Gap di cui si parla sempre, quando parliamo di attività imprenditoriale è opportuno segnalare il Gender Finance Gap (e cioè la difficoltà ad ot- tenere forme di finanziamento), che nel nostro Paese può veramente essere una chiave di lettu-ra per spiegare la persistente propensione delle donne a fare impresa sotto forma di ditta indi- viduale.

Imprese digitali

La quota di imprese femminili nei comparti di data analysis ed e-commerce è nettamente superiore alla media generale. Le imprese femminili sono il 22% di tutte le imprese italiane iscritte al Registro Imprese e il 17,2% di quelle costituite in forma di società (cioè, escluse le ditte individuali).

Ma se consideriamo solo i comparti che identificano in modo specifico il mondo delle imprese digitali il quadro cambia: il 30% delle imprese attive nella data analysis è femminile  (+ 8 punti rispetto al dato generale) così come il 26,8% di quelle dell’e-commerce (+4,8% rispetto al dato generale). Rappresentano infine il 18,3 delle aziende di servizi Internet. La percentuale sfiora quasi il 10% nella produzione di software.

Una possibile chiave di lettura di questo fenomeno – si legge nel report – ha a che fare con il background di chi fa impresa. L’avvio di un’azienda che si occupa di gestire un portale, di organizzare i dati sul traffico di un sito e trasformarli in analytics a supporto delle decisioni aziendali, di elaborare e gestire un servizio di e- commerce in proprio o in outsourcing per altre aziende, richiede conoscenze e skill che rientrano nel variegato mondo delle scienze economiche, manageriali e statistiche in cui la presenza di donne nei percorsi formativi universitari è sostanzialmente pari a quello degli uomini.

Il gap territoriale

La ripartizione territoriale indica una certa disomogeneità. E qualche sopresa. La quota più elevata di imprese femminili si ha nelle Regioni del Sud (27,4% in Molise, 26,4% in Basilicata, 25,% in Abruzzo, 24,4% in Sicilia) e del Centro (24,8% in Umbria), mentre sono sotto la media nazionale alcune regioni come Lombardia (18,9%), Emilia Romagna (20,8%), Veneto (18,9%) e Trentino Alto Adige (18,1%). Non si può ignorare che nei territori con un tessuto imprenditoriale meno vivace e con minori opportunità di intraprendere altre carriere professionali o manageriali, l’apertura di una ditta individuale può essere una via alternativa per ovviare alla precarietà.

Ma il quadro non cambia anche togliendo le ditte individuali, che sono appunto la forma giuridica più accessibile per le scelte imprenditoriali e per certi aspetti anche quella meno idonea per accompagnare progetti innovativi e percorsi di crescita ambiziosi. La percentuale di imprese femminili sul totale delle imprese costituite sotto forma di società (di persone o di capitali) passa al 17,2% a livello nazionale.

In termini regionali, Centro, Sud e Isole battono il Nord: in Sicilia sono quasi il 20%; in Umbria, Abruzzo e Sardegna il 19% più o meno. L’Emilia-Romagna supera il 16% mentre Veneto, Lombardia e Friuli Venezia Giulia il 15%. Infine il Trentino Alto Adige con il 12,2%.

Il ruolo della finanza

Se ci si concentra sulle 3.131.639 ditte individuali emerge che questa forma giuridica prevale tra le donne. Questo dato non va spiegato in termini di minore propensione al rischio da parte delle donne, ma nei fattori che rendono possibile il passaggio a forme giuridiche d’impresa più strutturate (società di persone e di capitali). Tra questi fattori, oltre ai consueti (e mai superati) ostacoli della mancanza di un welfare per la famiglia e di una diffusa cultura della parità di genere, rientra a pieno titolo un fattore pragmatico: l’accesso al credito.

È evidente che la minore propensione a chiedere prestiti può derivare dal fatto che le donne fanno impresa in settori con minor fabbisogno di accesso al credito, ma è anche vero che ci può essere una sorta di segregazione in questi settori, alla luce delle maggiori difficoltà a otte- nere credito.

Dal soffitto di vetro al diaframma di vetro

Le imprese femminili in Italia fanno emergere quello che possiamo denominare un diaframma di vetro, una sorta di separazione che spinge, o confina, le imprese a traino femminile nei settori che nell’immaginario collettivo sono “a vocazione femminile”.

All’interno di questo quadro generale, è interessante fare un ulteriore approfondimento, relativo alla consistenza delle imprese femminili nei diversi comparti di attività, rispetto a quelle a trai no maschile.

Tenendo a mente che imprese femminili sono il 22% di tutte le imprese iscritte al Registro Imprese, i dati ci dicono che in Italia l’incidenza delle imprese femminile è superiore alla media  generale nel settore dei servizi (51,4%), della sanità (37,5%) così come nell’istruzione (30,5%) e ristorazione (29,3%).

Nelle attività manifatturiere, l’incidenza di imprese femminili è al 17,2%, circa 5 punti sotto la media generale. Spicca tuttavia il comparto Confezione di articoli di abbigliamento, in cui l’incidenza delle imprese femminili schizza al 43,6%, ovvero il doppio della media generale.

 Il nodo governance

La presenza delle donne nelle stanze dei bottoni è pari al 23,2% su tutte le posizioni censite e quindi ancora lontana da posizioni di equilibrio di genere. Le consigliere di amministazione  sono il 24,6%. Grazie alla legge Golfo Mosca, nel 2019 la presenza delle donne nei Consigli di Amministrazione delle società quotate è arrivata al 36,3%.

Nei ruoli di direzione e governance, che sono quelli che incidono maggiormente su strategia e direzione delle imprese, la presenza femminile è del 23,1%. Le donne hanno mediamente 1,4 cariche (a fronte delle 1,7) degli uomini.

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