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Il gran puzzle delle radio e l’addio al pluralismo

Affanna nel settore la trasformazione digitale e le piccole emittenti pure loro affannano. In pochi ormai si spartiscono le risorse e tutto sembra spingere il settore nella stessa direzione della più ingombrante televisione. Pluralismo e par condicio sono proprio concetti fuori moda. La rubrica di Nicola D’Angelo

Pubblicato il 25 Set 2015

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In Italia sta per nascere un nuovo polo radiofonico in conseguenza dell’accordo Mediaset Hazan che metterà insieme Radio Montecarlo, R105, Virgin Radio e R101. Rcs Mediagroup ha ceduto infatti il 44,5% di Finelco (Rmc, 105 e Virgin) alla famiglia Hazan, già socia con il 55,5%. La mossa a sorpresa degli Hazan ribalta così la scelta fatta da via Solferino un mese fa di cedere per 21 milioni di euro il proprio 44,5% di Finelco alla società veicolo Blue Ocean, dietro la quale come investitore di maggior peso ci sarebbe il fondatore di “Striscia la notizia” Antonio Ricci.

Da parte sua Mediaset, dopo l’accordo con Arnoldo Mondadori Editore per l’acquisizione dell’80% di Monradio, a cui fa capo l’emittente radiofonica R101, ha stretto una partnership con i fondatori del gruppo Finelco, con l’obiettivo di imprimere ulteriore sviluppo alle proprie attività radiofoniche. Mediaset ha acquisito azioni con diritto di voto pari al 19% del capitale sociale di RB1 Spa che detiene assieme ai soci fondatori il 92,8% di Gruppo Finelco.

La famiglia Hazan mantiene la maggioranza delle azioni con diritto di voto. Mediaset ha inoltre acquisito le azioni di RB1 Spa senza diritto di voto, pari al 50% del capitale sociale. Nell’ambito degli accordi è comunque prevista la facoltà di Mediaset di incrementare la propria partecipazione. Insomma tutta una serie di operazioni che avranno l’effetto di costituire il primo gruppo radiofonico italiano, con tre emittenti nazionali con oltre 8 milioni di ascoltatori al giorno e un ampio bacino per la raccolta pubblicitaria. Questa la cronaca dei fatti, quello che però non si dice che si tratta di una concentrazione di grande rilievo che dovrebbe essere valutata ai fini dell’impatto sul pluralismo ai sensi dell’art. 43 del testo unico dei servizi media audiovisivi e radiofonici e che dovrebbe essere considerata alla luce delle disposizioni sui trasferimenti di proprietà contenute nella stessa legge (con competenze oltre che di Agcom anche del Governo).

Ma si sa, l’Italia è uno strano paese. In certi settori (per primo quello dei media) i fatti compiuti sopravanzano le regole o la loro applicazione. Con buona pace di chi ha sognato per anni un angolo di effettivo pluralismo all’ombra della vecchia e cara radio. Affanna nel settore la trasformazione digitale e le piccole emittenti, una volta il sale della democrazia dell’etere, pure loro affannano. In pochi ormai si spartiscono le risorse e tutto sembra spingere il settore nella stessa direzione della più ingombrante televisione. Pluralismo e par condicio sono proprio concetti fuori moda. Nella migliore delle ipotesi richiamati con funamboliche interpretazioni che se non fosse che la materia é grave e di rilievo verrebbe da ridere a crepapelle.

Comunque a rischio di tediare speriamo che la legge stavolta si rispetti. Altrimenti avrà avuto ragione Tolstoj quando affermava che proprio la legge è come la banderuola di un vecchio campanile che varia e si muove secondo come spirano i venti.

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