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Il rinnovamento del lavoro e il boom dello smart working

Il futuro è più vicino di quanto non sembri. In Italia sono già oltre 250mila i lavoratori che non vanno più in fabbrica o in ufficio per svolgere le loro mansioni

Pubblicato il 14 Ott 2016

Claudio Rorato

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Uffici che si spopolano, abitazioni che diventano alternative all’ufficio, sedi di lavoro sempre più nomadi ma interconnesse per consentire a dipendenti e professionisti di svolgere la loro attività. Potrebbe essere questo lo scenario futuro per il mondo del lavoro con il diffondersi dello smart working, il lavoro ‘intelligente’. Il grande cambiamento, che stiamo vivendo in modo più o meno consapevole, sta mutando i paradigmi tradizionali nella gestione delle relazioni personali e lavorative. Smart working e innovazione digitale procedono a braccetto e propongono un nuovo modo di lavorare, nuovi modelli organizzativi, che spalancano la porta a temi come l’equilibrio tra lavoro e vita privata, tra esigenze aziendali e familiari, tra produttività e soddisfazione personale.

Grazie alla tecnologia e all’apertura culturale verso nuove modalità di lavoro è già possibile conciliare più aspetti della propria vita. L’attenzione del Parlamento verso questi temi con il disegno di legge da poco presentato al Senato, testimonia che anche in Italia c’è la volontà di dare spessore a nuove prassi lavorative con una ventata di rinnovamento anche per il mercato del lavoro. “Oggi possiamo stimare in 250 mila gli smart worker, prevalentemente uomini, presenti nelle organizzazioni italiane con più di 10 addetti – afferma Fiorella Crespi, direttrice dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano. Allo squilibrio di genere e geografico si unisce anche quello dimensionale: lo smart working piace più alle grandi organizzazioni che alle PMI.

Tuttavia, proprio dalle piccole aziende proviene un messaggio positivo: solamente il 18% del campione – contro il 48% del 2015 – non dimostra interesse alle iniziative di smart working”. Intorno a questi dati il sistema Paese dovrebbe riflettere. Se è vero che i volumi di fatturato provengono dalle grandi aziende, è innegabile che la manodopera e il numero di aziende si collochino in prevalenza nella piccola dimensione. La formazione e l’informazione è proprio lì che devono indirizzarsi, per fornire nuove leve organizzative e competitive alle piccole realtà, spina dorsale del sistema economico nazionale. Questo passaggio è fondamentale, perché nelle piccole imprese mancano alcune funzioni strutturate, come quella dedicata alle risorse umane, che nelle grandi realtà si interfaccia per questi progetti con quelle IT, di facility management e con i vertici aziendali. “Le caratteristiche delle attività, la predisposizione delle persone e le dotazioni tecnologiche – spiega Fiorella Crespi – sono i cardini su cui si basa l’analisi di fattibilità e la scelta del modello di smart working, coerente con le necessità aziendali.

Oggi prevalgono ancora i progetti focalizzati sul lavoro svolto saltuariamente a casa, seguiti da quelli per migliorare la flessibilità dell’orario lavorativo. In prospettiva futura l’interesse si sta spostando verso la riprogettazione degli spazi fisici che, però, richiedono investimenti più consistenti e progettazioni complesse”. Che ruolo gioca la tecnologia? Quali sono gli strumenti che aiutano ad attivare i progetti di smart working? Senza ombra di dubbio, la tecnologia è il fattore che abilita lo smart working, perché agevola il lavoro in mobilità, rende possibile la comunicazione, la collaborazione e la condivisione di conoscenza, indipendentemente dalla presenza fisica in un luogo di lavoro definito e stabile.

Tutto ciò che facilita la social collaboration (social network, condivisione e archiviazione di documenti), la mobility (notebook, pc portatili, tabblet e smartphone) e le workspace technology (strumenti per videoconferenze, centri stampa centralizzati, wifi, sistemi di prenotazione spazi di lavoro), rappresenta l’ingrediente tecnologico dello smart working, condito dai servizi di accessibilità e sicurezza.

Gli smart worker cosa pensano? Esistono dei rischi di scarsa produttività o di carriere sacrificate alla comodità? Dai risultati dell’indagine sembra proprio di no. “Sfatiamo i falsi miti, condizionati da percezioni legate al controllo e all’esecuzione del lavoro in un luogo fisico e predefinito. Gli smart worker – conclude Fiorella Crespi – sono più soddisfatti della media dei lavoratori. Il 41% ritiene, infatti, eccellente la capacità di sviluppare abilità e conoscenze propedeutiche a un’evoluzione di carriera con questa forma di lavoro. Nel suo complesso, invece, il campione vale appena il 16%”.

Che dire allora? Smart working per tutti!

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