Industria 4.0, Tomassini: “Aziende italiane pronte allo switch-off digitale”

Il presidente e Ceo di Vetrya: “La strategia del Governo tiene conto dell’impatto economico, ma anche dei cambiamenti nel mondo del lavoro, e si basa su competence center di alto profilo. Su questi temi c’è ormai una consapevolezza importante”

Pubblicato il 28 Set 2016

Antonello Salerno

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“Il mio giudizio sul piano del Governo per Industria 4.0 è molto positivo. E anche le aziende sono ormai pienamente consapevoli della necessità del cambiamento. Rimane solo da mettere in pratica la strategia in tempi il più possibile rapidi”. Lo afferma in un’intervista a CorCom Luca Tomassini, fondatore e Ceo di Vetrya, società che punta sull’innovazione tecnologica e sul digitale nei settori (tra gli altri)del digital dei media, del mobile, e che ha tra i propri clienti operatori nel campo delle tlc, delle utilities e de manifacturing.

Tomassini, cosa la convince di più della strategia annunciata dal ministro Calenda?

Il fatto che punta a creare le condizioni per costruire un percorso per ogni singola azienda. E’ una strategia che tiene conto dell’aspetto fiscale ed economico, degli incentivi, ma anche delle persone e dell’impatto sull’occupazione. Così si parla della riforma degli istituti tecnici, delle Università, dei competence center, tutti di altissimo livello. Ora io confido nella capacità del governo, e del ministero dello Sviluppo economico, che dopo aver messo in fila queste priorità le porti avanti con decisione, e tutte. L’esecutivo ha destinato più risorse all’industria, è il momento di far planare sulla realtà questa strategia”.

Come si sta organizzando Vetrya per cogliere l’opportunità della quarta rivoluzione industriale?

Quando parliamo di industria 4.0 ci si riferisce a una serie di cambiamenti che coinvolgono le modalità di produzione, fino ad arrivare ai nuovi rapporti tra datore di lavoro e lavoratore. I cardini di Vetrya in questo campo sono essenzialmente tre: al primo posto l’utilizzo dei dati come strumento per creare valore, tramite l’utilizzo dei big data. Questo è un campo su cui insistiamo da tempo e che è in grado di incidere, ad esempio sulla logistica e sulla manutenzione dei macchinari. Il secondo punto sono gli analytics: una volta raccolti di dati, è necessario capire come si possono far fruttare: tutto deve avere un risultato, di ottimizzazione del processo produttivo o di imput verso altre macchine che devono ottimizzare i tempi, e quindi incidere sul contenimento dei costi. Il terzo cardine, forse il più importante, su cui siamo forti perché abbiamo già demo e applicazioni e ci stiamo lavorando molto anche nel manifatturiero, è il ponte tra digitale e il reale: parliamo di realtà immersiva, realtà aumentata e realtà virtuale. Modelli per il design di prodotti, simulazione di prodotti dove non è possibile o conveniente produrli o spostarli fisicamente.

Che tipo di sensibilità e di propensione all’investimento registra tra i vostri clienti su questi temi? Le aziende sono pronte a salire a bordo di questa “rivoluzione”?

Per stimolare le aziende bisogna puntare essenzialmente su una cosa: la defiscalizzazione. Un incentivo attraverso il quale tutte le aziende, le Pmi ma anche le realtà più grandi, sono portate a riconoscere la necessità del cambiamento. In ogni caso ormai c’è consapevolezza che il digitale non è più un “add-on” come era fino a pochi anni fa, quando Internet significava creare un sito aziendale o per i più audaci mettere le basi per un’attività di e-commerce. Oggi c’è realisticamente la consapevolezza, nelle aziende, che il processo digitale non si ferma e non si può ignorare, perché ormai c’è un ecosistema che opera già con processi digitali. Quindi o ci si adegua o ci si adegua. Chi lo fa per primo riesce a percepire un reale vantaggio, sia in termini economici che di semplificazione e velocità dei processi. Questi early adopter poi trainano i più prudenti o i più restii. Ma la consapevolezza della necessità del cambiamento è ormai molto diffusa.

Oggi prevale la percezione della transizione graduale o della logica “disruptive”?

Non si può dare una risposta che valga per tutti. Direi che dipende molto da Paese a Paese. Se dovessi risponderle come Vetrya come società di Palo Alto, direi che la trasformazione digitale è una cosa da fare nel giro di pochi mesi, perché o si è dentro o si è fuori dal sistema. Ma se le rispondo come Vetrya Spa italiana le dico che del tempo è necessario, perché non sempre si deve arrivare per primi: se l’ecosistema non è incardinato con processi al 100% digitali, e intorno in molti non si sono ancora adeguati, bisogna contemperare la necessità di fare velocemente con quella di adattarsi alla visione generale, per progredire insieme al resto del sistema. Anche per questo sono ottimista sull’iniziativa del Governo, perché ha affrontato questo tema in un’ottica di sistema.

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