SCENARI

Intelligenza artificiale, nella PA serve cautela. Ok per il Fisco ma non per la Giustizia

Indagine Boston Consulting Group: l’AI è percepita come un driver di innovazione ed efficienza per i servizi pubblici ma con dei distinguo. I cittadini la ritengono utile per le tasse e i trasporti, ma non per decidere l’innocenza o la colpevolezza di un imputato

Pubblicato il 26 Mar 2019

F. Me

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L’intelligenza artificiale è già usata da molti governi per rendere più efficienti i propri servizi, ma non tutti i campi di applicazione trovano il consenso dei cittadini. L’indagine condotta da Boston Consulting Group “The Citizen’s Perspective on the Use of AI in Government” su un campione di 14.000 persone in 20 Paesi rivela infatti un cauto ottimismo sull’introduzione dell’AI da parte delle amministrazioni. Ma tra i 13 campi presi in considerazione c’è una divergenza di giudizio piuttosto netta ed emergono, in generale, alcune preoccupazioni sulle conseguenze dell’utilizzo di queste tecnologie.

Entrando nel dettaglio Bgc registra percentuali di gradimento superiori – tra il 50 e il 75% – per l’automazione di servizi come il calcolo delle tasse, il monitoraggio del traffico e la manutenzione di infrastrutture pubbliche. Così come hanno il favore della metà degli intervistati le diagnosi mediche affidate ai computer e i controlli di sicurezza dei viaggiatori. Per quasi il 60% degli intervistati inoltre l’AI può aiutare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.

I dati iniziano a cambiare, però, quando si prendono in esame campi dove le decisioni affidate ai computer comportano implicazioni etiche. Servizi come il riconoscimento del diritto d’asilo, quello di accesso a programmi di welfare e la scelta delle cure in campo medico non trovano d’accordo oltre un terzo degli intervistati. L’opposizione dei cittadini diventa ancora più netta quando si parla dell’utilizzo dell’AI in campo giudiziario: la maggioranza degli intervistati è contraria ad affidare ad un computer le decisioni sull’innocenza o la colpevolezza di un imputato (51%).

Sono i Paesi con economie emergenti – su tutti Cina, Emirati Arabi e Indonesia – a mostrare il livello più alto di apertura all’uso di dell’AI da parte dei governi, insieme alle fasce di popolazione più giovane (18-49 anni) e quelle che vivono nelle grandi città. A fronte di una cauta apertura in alcuni campi, però, le conseguenze dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale sono viste con preoccupazione. Il 61% degli intervistati teme che a causa dell’introduzione dell’AI in futuro ci saranno meno posti di lavoro e il 58% sostiene che questo debba essere evitato tramite una legislazione adeguata. Suscitano perplessità anche le questioni etiche non risolte derivanti dall’utilizzo dell’AI (evidenziate dal 32%). Quanto alla pubblica amministrazione, il 27% dei cittadini dubita che possa essere in grado di usare in maniera corretta questa tecnologia: un intervistato su quattro non si fida dell’accuratezza dei risultati (25%) e uno su tre della trasparenza delle decisioni (31%).

È su questi punti – lavoro, questioni etiche, affidabilità e trasparenza – che i governi dovrebbero lavorare fin da ora. L’approvazione ottenuta in molti campi è un buon segnale, ma la rapida evoluzione delle tecnologie legate all’AI ha creato dubbi tra i cittadini che vanno risolti il prima possibile attraverso test che valutino l’impatto dell’AI sulla vita delle persone. Solo così sarà possibile trovare delle soluzioni condivise nei campi che suscitano più perplessità e si costruirebbe quel rapporto di fiducia necessario per ottenere un supporto più ampio sul lungo termine.

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