PUNTI DI VISTA

Internet, carta dei diritti e l’utopia necessaria

Differenze e similitudini tra la Magna Charta italiana e il Marco Civil brasiliano. L’analisi di Giorgio Resta, docente di Diritto comparato a Roma Tre

Pubblicato il 28 Nov 2015

Giorgio Resta

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L’approvazione da parte della Camera dei Deputati della mozione volta a promuovere in sede europea e internazionale l’adozione dei principi espressi nella Dichiarazione dei Diritti in Internet del 28 luglio 2015 conferma l’importanza attribuita a tale documento sul piano politico. Elaborata da un’apposita commissione (“Commissione per i diritti e i doveri in Internet”) nominata dal Presidente della Camera e composta da parlamentari e da esperti esterni, la Dichiarazione ha immediatamente suscitato l’interesse degli osservatori stranieri, collocando l’Italia in una posizione di avanguardia nell’ambito del dibattito sulla regolamentazione di Internet.

La Dichiarazione dei Diritti in Internet costituisce un documento importante da due diversi punti di vista: quello istituzionale e quello contenutistico.

Dal primo punto di vista l’adozione della Dichiarazione dei diritti, che nelle intenzioni degli autori sarebbe destinata ad acquisire presto o tardi una veste giuridica formale, implica una precisa scelta di campo all’interno di un dibattito ormai trentennale circa i meccanismi istituzionali preordinati al funzionamento della rete. Le principali opzioni che si contendono il campo, con infinite varianti interne, sono ben note: self-regulation, soft-regulation, hard law.

La Dichiarazione dei Diritti si iscrive idealmente all’interno di quest’ultima cornice ermeneutica, seguendo la via già intrapresa, seppur a livello prettamente nazionale, dal legislatore brasiliano del Marco Civil da Internet. Comune è la prospettiva giuspolitica sottesa a entrambi tali iniziative, e segnatamente l’idea che non può esistere nella realtà sociale uno spazio completamente privo di regole e che la tecnologia non può essere assunta a unica depositaria delle norme del cyberspazio, secondo la formula icastica code is the law. Diverso però è il livello di regolazione sul quale si appunta l’intervento: spiccatamente nazionale quello del Marco Civil; transnazionale quello della Dichiarazione dei Diritti, che dovrebbe idealmente costituire il nucleo di un testo vincolante da adottare in via multilaterale.

Dal secondo punto di vista la Dichiarazione enuncia una serie di principi di straordinaria rilevanza, volti a definire un equilibrato bilanciamento tra libertà e vincoli nello spazio telematico.

La prospettiva che l’orienta l’intera dichiarazione è quella per cui Internet deve ritenersi un bene pubblico globale, sì che l’accesso paritario e neutrale ad esso deve essere garantito a ciascun cittadino in quanto diritto fondamentale della persona (artt. 2-4), protetto non solo sul piano procedurale (possibilità di connessione) ma anche su quello sostanziale (possibilità di acquisire senza ostacoli, ivi compresi quelli derivanti dall’eccessiva proliferazione dei diritti di proprietà intellettuale, la conoscenza in rete). In secondo luogo, e soprattutto, si attribuisce un’assoluta centralità al diritto al rispetto dell’autodeterminazione informativa, in quanto proiezione del principio di dignità umana (artt. 5-6).

Da esso si irradiano una serie di posizioni soggettive, che definiscono il quadro più aggiornato dei diritti della personalità in rete: il diritto all’inviolabilità dei sistemi informatici (art. 7), il diritto alla rappresentazione integrale e aggiornata dell’identità della persona (art. 9), il diritto all’anonimato con il limite della protezione dei diritti dei terzi (art. 10), nonché il diritto all’oblio (art. 11).

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